di Fabrizio Casari

Caronte è ormai alle spalle, ma l’emergenza italiana non è finita. A sentire le dichiarazioni degli esponenti della destra, tra oggi e domani l’Italia sarà sospesa tra Armageddon e il diluvio universale. Si può infatti collocare in questo range di cataclismi globali la sentenza che emetterà la Corte di Cassazione a sentire i commenti dei berluscones. Non avrà conseguenze sul governo, rispondono da Palazzo Chigi gli uomini del Premier Letta.

Sarà, ma l’impressione è che in qualche modo verrà pronunciata la madre di tutte le sentenze; non solo per il merito del dispositivo ma anche per ribadire l’effettiva autonomia di giudizio della magistratura, la sua sostanziale indifferenza, nel sentenziare, al contesto politico.

I magistrati della Corte di Cassazione, che al più tardi mercoledì emetteranno la sentenza per l’affaire Mediaset, avranno tre strade davanti a loro. La prima è quella di condannare il padrone del PDL (per effetto della condanna a Milano, scatterebbe l’interdizione dai pubblici uffici). La seconda è quella di accogliere solo in parte i ricorsi, e qui davvero le ipotesi possono essere diverse. La terza è quella di disporre - su richiesta della difesa - un rinvio.

La prima strada porterebbe dritta all’incompatibilità immediata e all’ineleggibilità futura di Berlusconi, con tutto ciò che ne consegue per lui, per il suo partito e la destra italiana in generale, per il quadro politico complessivamente inteso. La terza aprirebbe invece una nuova battaglia giudiziaria che sposterebbe nel tempo la sentenza definitiva. Il che permetterebbe al PDL di tirare un sospiro di sollievo, gli darebbe il tempo di decidere cosa fare nel prossimo futuro e rimandare così il post-berlusconi. Andrebbe tutto sommato bene anche per il PD, che si sentirebbe legittimato a poter continuare a convivere al governo con il PDL.

Vedremo cosa decideranno i giudici dell’Alta Corte; non ci sentiremmo di scommettere sulla conferma della condanna, ma non sembra comunque automatico, anche nel caso l'ex-premier fosse condannato, un riverbero diretto ed immediato sul governo da parte di Berlusconi. Perché una volta condannato, aldilà della minaccia di rifiutare i benefici di legge e andare in carcere (una balla per alzare la tensione e premere sulla Corte) la partita da giocare per Berlusconi sarebbe solo quella di una amnistia nella quale infilarsi, provvedimento che solo un governo in carica potrebbe varare. Dunque il governo Letta non cadrà per mano del PDL, al netto delle sceneggiate isteriche che nani e pitonesse possano imbastire per il circo in diretta televisiva.

La Presidente Boldrini ha ripetuto anche ieri come governo e giustizia siano terreni diversi e non sovrapponibili; ha perfettamente ragione ma il messaggio sembra trovare orecchie attente solo a destra. Il PD, invece, ad una eventuale condanna dell’ex-premier non potrebbe restare indifferente. Pur alle prese con la guerra intestina di correnti che con qualche pudore chiamano “scontro sulle regole”, il PD non potrebbe continuare a far vivere il governo con il PDL.

Un generico quanto appropriato sussulto di decenza democratica (elemento sepolto all’atto di nascita del governo) prevede che non ci si possa attribuire il ruolo di bastione della democrazia e contemporaneamente governare insieme ad un partito di proprietà di un condannato ed inibito alla pubblica attività politica. E inoltre, sullo sfondo pesa il prossimo Congresso del PD: a nessuna delle correnti è concesso di non chiedere l’immediata rottura con il PDL in caso di condanna a Berlusconi. E nessuno potrebbe infischiarsene nel mezzo dello scontro congressuale. Chi sostenesse la praticabilità di far vivere il governo anche con una condanna della Cassazione a Berlusconi, chiuderebbe per sempre ogni possibilità di presentarsi di fronte a iscritti ed elettori del PD.

Dunque Letta avrà una sola strada: recarsi al Quirinale e mettere in mano a Re Giorgio le sorti del suo governo. Nel generale convincimento che non sarebbero possibili maggioranze alternative, il presidente-monarca (ormai nemmeno più nominabile anche per i parlamentari) avrà due strade: rimandarlo  alle Camere per vedere se il suo modello può essere salvato comunque (facendo così implodere definitivamente il PD) oppure, con la scusa che la riforma elettorale non è stata approvata, tentare di assegnare l’incarico per un nuovo governo tecnico. Un vecchio film dal finale tragico per il quale abbiamo già pagato un biglietto salato.

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