Giustificare un crimine raziale non è solo spregevole: è pericoloso. Tanto più se a firmare l’apologia del delinquente sono uomini politici di primo livello, candidati a formare il prossimo governo del nostro Paese. Quello che è successo a Macerata non è difficile da interpretare. Un energumeno vigliacco è sceso in strada e ha sparato sulla folla, ferendo sei persone. Punto.

 

Fin qui sembra una notizia di cronaca ordinaria, di quelle che vengono condannate da tutti “senza se e senza ma”. Il problema è che stavolta l’attentatore non inneggiava alla jihad, non voleva punire gli infedeli. In faccia aveva tatuato il simbolo di Terza Posizione, gruppo neofascista degli anni 70-80, e i suoi bersagli erano africani. Non qualcuno in particolare: tutti. La pelle nera, agli occhi di Luca Traini, li rendeva colpevoli in massa, obiettivi di una vendetta sommaria per il presunto omicidio di una ragazza romana di cui è sospettato un nigeriano.

 

 

In queste condizioni i “se e i ma” si sprecano nelle dichiarazioni dei leader della destra. E la condanna si annacqua fino a suonare come un’assoluzione. Secondo Matteo Salvini, “la responsabilità morale di ogni episodio di violenza che accade in Italia è di quelli che l’hanno riempita di clandestini”. Insomma, Traini sarà pure “un delinquente”, ma se gli è venuto in mente di andare in giro a sparare con una glock è colpa dei governi Pd, troppo permissivi in tema di immigrazione. Sulla stessa linea Giorgia Meloni: “Così si è ridotta l’Italia in mano alla sinistra”. Per non parlare di Roberto Fiore, leader di Forza Nuova: “Questo giovane sicuramente ha sbagliato, ma ha visto la propria città trasformarsi in un inferno”.

 

Siamo in pieno delirio fascistoide. Per opinioni come queste non vale la vecchia massima, erroneamente attribuita a Voltaire, “non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Al contrario: in un Paese fondato sui valori dell’antifascismo, opinioni come queste non devono essere tollerate. La libertà di parola è sacrosanta, ma non è assoluta. Non permette a tutti di dire qualunque cosa. Ci sono diversi limiti: i segreti privati (voto e corrispondenza) e quelli pubblici (istruttorio, d’ufficio, di stato), le norme sulla privacy e quelle sulla par condicio, i reati di ingiuria, diffamazione, calunnia e vilipendio. La lista è lunga e comprende anche l’istigazione alla violenza e all’odio.

 

Gli sproloqui della destra probabilmente non possono essere considerati delle “istigazioni” in senso giuridico e per questo non vengono perseguiti dalla magistratura. Ma sono certamente delle giustificazioni che per ragioni di propaganda minimizzano la gravità di un crimine fra i più odiosi e per questo vanno condannati.

 

Mentre scaricano la responsabilità sugli altri, Salvini, Meloni e Fiore alimentano quel clima di intolleranza, xenofobia e razzismo sempre più diffuso nel Paese, sui social e fuori. Così facendo, costruiscono una retorica e un’ideologia che torneranno utili al prossimo gerarca mancato a cui verrà in mente di farsi giustizia da sé. E tutto questo solo per cavalcare i più bassi istinti delle persone a fini elettorali. 

 

C’è poi un altro aspetto da non dimenticare. Additare gli immigrati irregolari come principali responsabili delle violenze sulle donne italiane significa mentire. Benché molto diffusa, questa panzana è smentita dai numeri ufficiali: secondo l’Istat, delle 149 donne vittime di omicidi volontari nel 2016, 76 sono state uccise dal partner o dall’ex e 33 da un parente. Più dell’80% degli stupri sulle donne italiane è stato commesso da un italiano, mentre gli stupratori stranieri non vanno oltre il 15,1%.

 

Magari Traini potrebbe dare un’occhiata a questi dati mentre si trova in cella. E sarebbe bello che lo facessero anche i suoi referenti politici. 

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