Una crisi istituzionale violenta, uno scontro senza precedenti fra maggioranza parlamentare (sebbene non ancora insediata formalmente come tale) e Quirinale. Una stagione di scontro politico incandescente, con toni – e speriamo solo toni – da guerra civile o quasi. Ne valeva la pena? Paolo Savona rappresentava davvero un pericolo per la finanza pubblica e per i risparmi degli italiani?

 

Sergio Mattarella poteva, dal punto di vista del diritto costituzionale, e doveva, dal punto di vista politico, accettare la sfida di Matteo Salvini sulla decisiva poltrona del ministro dell’Economia? Queste domande – al netto del giudizio sulla debolezza di Luigi Di Maio e sul “doppio gioco” fra governo e nuove elezioni condotto con abilità e cinismo dal segretario della Lega – saranno dimenticate presto, perché siamo già nella nuova campagna elettorale, e davvero la fantasia di chi scrive non arriva a immaginare cosa mai si potrebbe escogitare di creativo per andare, restando nei limiti della norma costituzionale, oltre settembre, ottobre al massimo per la data delle nuove elezioni politiche.

 

 

Sul caso di Paolo Savona vale la testimonianza a caldo di Jean-Paul Fitoussi, economista di riconosciuto prestigio internazionale, che in una intervista al Mattino di Napoli ha espresso la convinzione che non esista “la paura che uno dei Paesi fondatori esca dall’euro” ma forse in Europa “temevano di trovarsi di fronte una personalità non comoda in un tavolo di negoziazione”. Fitoussi nega l’assunto principale della tesi di Mattarella, che la nomina di Savona per gli ambienti finanziari e politici europei avrebbe dato il segnale dell’avvio di Italexit. Nel merito, dunque, è perlomeno lecito dubitare della inedita giustificazione, politicamente creativa, offerta da Mattarella per il suo veto: “La designazione del ministro dell'Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari”. Fin qui sul piano politico, dove le opinioni di Mattarella naturalmente pesano ma non dovrebbero influire più di tanto sulle sue mosse istituzionali e certamente non possono essere indiscutibili.

 

Veniamo al terreno istituzionale. Siccome gli atti dei presidenti della Repubblica definiscono la prassi costituzionale (non a caso a proposito del conflitto con la maggioranza M5S-Lega sono stati richiamati i precedenti interventi di alcuni predecessori di Mattarella), il discorso del giurista siciliano verrà molto studiato in dottrina e finirà presto sotto la lente dei manuali di diritto pubblico. Cambiando inevitabilmente la stessa interpretazione che verrà data dell’articolo 92. E’ bene ricordare, infatti, che svariate autorevoli fonti della manualistica di diritto costituzionale, da Mortati a Martines a Cuocolo e altri ancora, finora escludevano il potere di scelta o di veto del Quirinale sui ministri, e al massimo lo interpretavano come “potere di consiglio”, comunemente noto come “moral suasion”.

 

Da oggi invece sappiamo, e ci sono costituzionalisti autorevoli che si sono affrettati in diverse interviste a offrire il loro sostegno alle scelte di Mattarella ed evidentemente si preparano ad aggiornare i loro manuali, che fa parte della prassi costituzionale l’attenzione ai mercati. Esiste dunque un soggetto collettivo indefinito (ma certamente collocato fra quanti possiedono e maneggiano ingenti capitali, diciamo nel famoso uno per cento della popolazione mondiale) sul cui “umore” (“fiducia”, “allarme”) si deve calibrare il giudizio sul candidato ministro e sull’indirizzo politico della maggioranza di governo.

 

Qui la maggioranza c’era, le indicazioni anche, il presidente incaricato era certamente una figura debole ma Mattarella – sospettato di un altro precedente veto sull’economista e storico Giulio Sapelli – quella figura aveva alla fine accettato come strumento di soluzione dello stallo politico. Sul piano costituzionale, attendiamo con interesse la revisione della dottrina, ma certamente si può osservare che – almeno per i sostenitori dell’atteggiamento del presidente della Repubblica attuale – finirà rapidamente in un cassetto la teoria finora in voga sui “poteri a fisarmonica” del Colle, limitati quando c’è una maggioranza parlamentare solida con un suo indirizzo politico (come da Costituzione), estesi quando mancano in Parlamento equilibri chiari e scelte condivise.

 

Non mette conto qui discutere dell’ipotesi di “impeachment”, di messa in stato d’accusa di Mattarella. Sul piano politico, perché la mossa è stata annunciata da un gruppo marginale (Fratelli d’Italia) e dal Movimento 5 stelle ma senza averla concordata con la Lega. Quindi potrebbe non avere i numeri in Parlamento. Sul piano giuridico, perché una forzatura, anche grave, non è assimilabile a un attentato alla Costituzione e comunque è veramente impossibile per chi scrive credere che tale sarebbe considerato dai giudici costituzionali e popolari chiamati a valutare gli atti del capo dello Stato.

 

Insomma: se nel merito Savona come segnale per un crack dell’Italia sui mercati appare una forzatura personale di Mattarella, e se il veto dichiaratamente politico e di opinione su un ministro personalmente all’altezza del compito e moralmente indiscutibile “allarga” in modo brusco la prassi costituzionale e l’interpretazione dell’articolo 92, cosa possiamo pensare delle conseguenze politiche di questa crisi e delle scelte del Quirinale? Mattarella ha convocato all’istante Carlo Cottarelli, economista espressione di fatto della Troika, del “pilota automatico”, della teoria thatcheriana “T.I.N.A.”, there is no alternative, non c’è alternativa al dominio dei mercati; e chissà con quali strumenti affronterà eventuali dissensi politici e sociali, magari di piazza, su questa linea il futuro capo del Governo.

 

Mattarella ha preso posizione sul terreno politico con una decisione e una personalizzazione che si fatica a ritrovare nei predecessori, se non nell’ultimo, probabilmente il peggiore: Giorgio Napolitano, non a caso passato alla storia come Re Giorgio. Ma soprattutto Mattarella, nel suo discorso, ha provato a ridefinire il campo di gioco nel quale i soggetti politici, i partiti, compreso quello dal quale lui stesso proviene, si muoveranno nei prossimi mesi.

 

Ha detto: non me la raccontate giusta, voi gialloverdi volete uscire dall’euro, questo è il vostro “vero” programma politico e quindi il nuovo bipolarismo sarà giocoforza fra pro-euro e anti-euro. Una chiamata alle armi, che prova a stringere nell’angolo la Lega, ancora legata alla fragile alleanza con Forza Italia e a schiacciare il M5S sulla sua scelta tattica di convergenza col Carroccio, in modo da liberare il campo a una nuova Union sacrée con l’agonizzante Partito democratico resuscitato in extremis.

 

Un progetto politico limpido, sul quale si rischia però di esacerbare ulteriormente gli animi degli elettori delusi, con due possibili scenari: un trionfo di M5S e Lega se decidessero di confluire in un’alleanza – o una desistenza – elettorale, oppure un rilancio delle forze “europeiste” (definizione ridicola, visto che il fronte pare comprendere Silvio Berlusconi, le cui espressioni pubbliche e private sui massimi dirigenti della politica tedesca ed europea è inutile ricordare qui) che marginalizzi i cosiddetti “vincitori” del 4 marzo, disperdendo per il futuro i loro voti nell’astensionismo, nel rancore sociale, magari contro zingari, immigrati, gay e chissà cos’altro e speriamo non nella violenza organizzata.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy