Dopo anni di proclami e di campagna elettorale permanente, Lega e Movimento 5 Stelle sono arrivati allo scontro con la realtà. Che purtroppo è fatta anche di numeri. Matteo Salvini continua a rilanciare sulla flat tax e Luigi Di Maio non arretra sul reddito di cittadinanza, ma il governo deve fare i conti con una situazione contabile che quasi certamente impedirà di varare le due misure economiche di punta. E non solo.

 

A voler schematizzare, i problemi sono tre. Innanzitutto, torna ad aleggiare il fantasma di una manovrina. Bruxelles ha già detto che ci sono dei problemi con i conti italiani del 2018 e la settimana scorsa Confindustria ha previsto che l’Europa ci chiederà una correzione da circa nove miliardi.

 

 

Salvini ha bollato questa ipotesi come “una fantasia”, mentre Carlo Cottarelli dà per scontata la necessità di una manovra bis, anche se non è d’accordo con i calcoli degli industriali: “Già prima del rallentamento dell’economia - ha detto l’ex Premier incaricato a SkyTg24 - sarebbe stato necessario fare qualcosa, 4-5 miliardi di correzione. Nove mi sembrano tanti”.

 

Nessun parere, invece, da chi a Palazzo Chigi si è insediato davvero: “Vedremo - ha glissato il premier Giuseppe Conte di ritorno dal Consiglio Ue - Fatemi parlare con il ministro dell'Economia e con gli altri ministri, non sarei serio a rispondere ora”.

 

Del resto, nemmeno la grillina Laura Castelli, sottosegretaria al ministero dell'Economia, sa dire se una manovra bis sarà necessaria o meno: “Non lo so - ha ammesso ad Agorà, su Rai3 - la verità è che pare di sì, ma ancora non ci sono delle informazioni così chiare. Se fosse, saremmo naturalmente in grado di farla”. Già, ma con quali soldi? Quale spesa presente o futura sarà tagliata per sostenere il costo dell’eventuale manovrina? Nessuno lo sa.

 

Il secondo problema riguarda il Decreto Dignità, che il governo dovrebbe varare a breve. Il pacchetto originario si articolava su tre fronti: lotta al precariato e alla delocalizzazione, semplificazione fiscale per le imprese e stretta sul gioco d’azzardo. I costi eccessivi hanno portato poi al rinvio del provvedimento, che con il passare dei giorni si sta progressivamente svuotando. La parte fiscale, quella più problematica dal punto di vista delle coperture, sarà probabilmente stralciata.

 

Quanto alla stangata sui contratti precari, si annuncia meno pesante del previsto, perché andrebbe a discapito degli imprenditori del Nord tanto cari a Salvini. E così l’abolizione dei contratti di somministrazione a tempo indeterminato rischia di saltare, mentre riemergerebbero i voucher, che un anno fa Di Maio definì “una forma di schiavitù”.

 

Ma non è finita. Le risorse per il Decreto Dignità dovrebbero venire in gran parte dalla “pace fiscale”, cioè dal condono sulle cartelle esattoriali di valore inferiore a 100mila euro. Fino a qualche settimana fa, i leghisti si aspettavano di ricavare da questa misura circa 30 miliardi e di utilizzare queste risorse per la flat tax. Ora hanno capito che il gettito della “pace fiscale” sarà molto inferiore alle loro stime iniziali e (forse) basterà a malapena a finanziare il primo decreto.

 

Domanda: dove troverà il governo i soldi per pagare tutte le altre riforme promesse? Se è difficile racimolare i fondi per un provvedimento dall’impatto economico contenuto come il Decreto Dignità, figurarsi per le altre misure previste dal contratto.

 

Arriviamo così al terzo problema: la legge di Bilancio da varare in autunno. Il ministro per il Sud, la pentastellata Barbara Lezzi, ha già messo le mani avanti: “Abbiamo ereditato conti sfasciati, un’eredità pesante che ci farà agire in maniera ancor più responsabile. Non possiamo inserire tutte le nostre proposte nella prossima legge di Bilancio. Affronteremo le priorità piano piano, ci siamo dati un programma di cinque anni”.  

 

Prudenza anche dal ministro grillino dei Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, secondo cui “i fondi per realizzare il progetto di governo sono in gran parte da trovare ai tavoli europei, non solo all'interno del bilancio dello Stato”.

 

Peccato che il numero uno del Tesoro, Giovanni Tria, abbia già spiegato che per il prossimo anno i margini d’azione saranno stretti: “L'Italia proverà a rispettare l'impegno a ridurre l'indebitamento netto strutturale di 0,3 punti di Pil nel 2018 - aveva detto il ministro dell’Economia dopo l’ultima riunione dell’Ecofin in Lussemburgo - ma la Commissione europea già si aspetta deviazioni per l'andamento meno favorevole della congiuntura rispetto alle previsioni”.

 

Per tutte queste ragioni, c’è la concreta possibilità che alla fine in Parlamento arrivi una manovra asciutta da circa 18 miliardi, di cui 12 soltanto per sterilizzare le clausole di salvaguardia che dal primo gennaio 2019 farebbero aumentare l’Iva.

 

I conti non tornano, considerato che il reddito di cittadinanza costerebbe 17 miliardi e la flat tax una cinquantina. Soldi inesistenti, che con ogni probabilità non si troveranno nemmeno nei prossimi mesi, visto che Salvini rifiuta anche l’idea di una patrimoniale avanzata dai grillini. E alla fine saranno gli italiani a sbattere la faccia contro il muro che si nasconde dietro alla propaganda.

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