Nel rapporto con le istituzioni e fra le istituzioni, il governo Conte è più che mai figlio di Silvio Berlusconi. Non perché l’ex Cavaliere abbia una qualche influenza sul nuovo Esecutivo - ormai è uscito dal cono di luce - ma perché la classe politica che guida questa sedicente Terza Repubblica appartiene a una generazione cresciuta a pane e berlusconismo.

 

La settimana scorsa, Matteo Salvini si è prodotto in uno spettacolo che di certo ha fatto rivoltare nella tomba i padri costituenti di tutto l’arco politico, da De Gasperi a Togliatti. Incurante (o forse ignaro) dei limiti che circoscrivono i poteri del ministro dell’Interno, il leader leghista si è opposto allo sbarco della nave Diciotti della Guardia Costiera italiana, pretendendo la garanzia che “i delinquenti” colpevoli di aver “dirottato una nave con la violenza” finissero “per qualche tempo in galera” prima di essere “riportati nel loro Paese”. In questa semplice frase si affastella una quantità di violazioni istituzionali da fare spavento.

 

 

Innanzitutto, la competenza sui porti e sull’attività della Guardia Costiera non spetta al Viminale, ma al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Questo equivoco è ormai un classico del governo Conte, anche perché il ministro defraudato, il grillino Danilo Toninelli, sembra più che rassegnato a ricevere umiliazioni settimanali dal suo collega dell’Interno. È verosimile che abbassi la testa per quieto vivere, ma probabilmente, anche volendo, non avrebbe molte idee da contrapporre, né le capacità politiche necessarie a contrastare lo strapotere salviniano. 

 

Tutto questo però non è nulla rispetto al vero abominio. Con la sparata sulla Diciotti, il numero uno del Viminale ha leso il principio della separazione dei poteri, pilastro filosofico prima ancora che politico su cui si fondano tutte le democrazie moderne. Non è difficile: l’esecutivo al governo, il giudiziario alla magistratura e il legislativo al parlamento. Lo ha teorizzato Montesquieu nello Spirito delle leggi (1748) e oggi qualsiasi studente delle scuole medie dovrebbe sapere di cosa si tratta. Per questo è inqualificabile che un ministro della Repubblica osi invadere il campo di giudici e pubblici ministeri.

 

Non conta nulla che in seguito due dei 67 migranti a bordo della Diciotti - poi attraccata a Trapani - siano stati arrestati su disposizione della procura del capoluogo siciliano. Non è questo il punto. Il punto è che a un membro del governo non dovrebbe nemmeno venire in mente di dare ordini a una Procura. Quando un comportamento del genere era ritenuto ammissibile, a reggere le sorti dell’Italia non era un governo, ma il Duce.

 

Per fortuna il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sbloccato la situazione richiamando all’ordine il governo e facendo valere anche il proprio ruolo di capo delle forze armate, visto che la Diciotti è una nave militare. La Lega ha espresso “stupore” per l’intervento del Quirinale. Come dire che Salvini ha accolto con meraviglia la notizia di non essere un magistrato.

 

Infine, la Costituzione garantisce a tutti il diritto a essere ritenuti innocenti fino a prova contraria, per cui nessuno - tanto meno un ministro - può sentenziare su chi debba o non debba andare in galera prima che un giudice si esprima con sentenza definitiva.

 

Una simile incultura istituzionale è quanto di più berlusconiano esista. Come dimenticare gli sproloqui dell’ex Cavaliere contro le “toghe politicizzate” che, a suo dire, lo avrebbero perseguitato ingiustamente per anni (salvo poi riconoscerlo davvero colpevole di frode fiscale)?

 

Un altro esempio di questo atteggiamento mentale lo ha fornito Rocco Casalino, portavoce di Conte e stratega della comunicazione pentastellata, che ha apostrofato un giornalista con queste parole: “Adesso che Il Foglio chiude, che fai? Mi dici a che serve il Foglio? Non conta nulla... Perché esiste?”.

 

Al di là delle posizioni che ciascuno può avere sui contenuti e sul destino del Foglio, è inaudito che l’uomo a cui è affidata la comunicazione del Governo insulti un giornale d’opposizione, auspicandone perfino la chiusura. In democrazia, il governo non si augura che le testate antigovernative chiudano i battenti, perché le critiche sono un valore: è proprio la loro libera espressione a determinare il livello di democrazia di un paese, cioè il bene supremo che un governo dovrebbe tutelare.

 

Il problema è che per capire questo concetto servirebbe, appunto, una cultura democratica. Cioè una cultura anti-berlusconiana.

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