Il problema del nostro Paese è che gli italiani non cercano lavoro o che il lavoro non c’è? La risposta giusta dovrebbe essere la seconda. A giudicare dall’impostazione della nuova legge di bilancio, però, sembra proprio che il Governo non sia d’accordo. La manovra licenziata dal Consiglio dei ministri vale 37 miliardi e per 22 è finanziata in deficit.

 

Il ricorso all’indebitamento è largamente superiore a quanto consentito dalle regole europee e Bruxelles è già furiosa, ma non è questo il punto. La vera questione è che stiamo allargando il disavanzo solo per aumentare la spesa corrente e non per riaccendere gli investimenti pubblici. In altri termini, la legge di Bilancio peggiora i conti senza migliorare le prospettive del Paese nel medio lungo termine, perché non crea nemmeno un posto di lavoro.

 

 

A questo proposito, è particolarmente illuminante il pensiero magico che sembra essere a monte del reddito di cittadinanza. Se qualcuno li accusa di assistenzialismo, di solito i grillini rispondono che il nuovo sussidio è strettamente connesso alle politiche attive per il lavoro, dal momento che per averne diritto è necessario seguire un percorso di formazione e impegnarsi nella ricerca di una sistemazione lavorativa. Il tutto dovrebbe avvenire con l’assistenza dei centri per l’impiego, da cui ogni singolo percettore del reddito di cittadinanza riceverebbe nell’arco di due anni ben tre offerte di lavoro, rifiutate le quali decadrebbe dal diritto al sussidio.

 

Ora, la domanda è: da dove dovrebbero spuntare tutte queste miracolose offerte di lavoro? La manovra non contiene alcuna misura in grado di dare una scossa all’occupazione, per cui viene da supporre che, secondo il governo, in Italia il lavoro ci sia già. Vista la soluzione che propongono, sembra proprio che a loro giudizio il problema da affrontare sia la pigrizia. Come a dire: se segui un corso serale e cerchi bene, vedrai che alla fine il lavoro lo trovi.

 

Quindi in realtà l’obiettivo non è rilanciare gli investimenti pubblici, né favorire la nascita e lo sviluppo delle imprese in un contesto di equità sociale. Tutto quello che serve è riformare i centri per l’impiego, le bacchette magiche attraverso cui il prodigio dovrebbe compiersi.

 

Certo, a pensarci bene i centri per l’impiego rispondono alle Regioni, quindi una loro rivoluzione calata dall’alto rischia di non essere esattamente un successo. Anche perché bisognerebbe realizzarla in fretta e furia: il reddito di cittadinanza deve entrare nelle tasche di milioni di italiani in tempo per le elezioni europee di maggio 2019. E poi c’è la questione dei soldi, che non è proprio un dettaglio.

 

Nella versione originaria, la misura-simbolo del Movimento 5 Stelle doveva costare 17 miliardi. All’epoca le coperture finanziarie sembravano una formalità semplicissima da sbrigare, poi però la realtà si è rivelata diversa. Anche scassando i conti, le risorse a disposizione sono poche e non basteranno mai e poi mai per alzare le pensioni minime e garantire 780 euro al mese a tutte le persone che vivono in povertà assoluta.

 

Per quanto riguarda la riforma dei centri per l’impiego, in origine era previsto uno stanziamento di due miliardi, che però nel passaggio dai sogni alla realtà si è dimezzato. Ora la prodigiosa moltiplicazione delle offerte di lavoro si dovrà compiere con un solo miliardo. Ma come ogni numero di magia, anche questo si regge su un trucco. Il problema dei 5 Stelle è riuscire a non svelarlo prima di maggio.   

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