“Reagite, ribellatevi, la misura è colma”. Con queste parole Matteo Salvini esortava i sindaci italiani a non rispettare una legge da lui ritenuta ingiusta. Era l’ottobre del 2016 e la legge in questione era quella sulle unioni civili. Ora che è arrivato al governo e ha varato una legge davvero ingiusta - il decreto sicurezza - Salvini si riscopre legalitario e minaccia di persecuzione i sindaci disobbedienti, che sono tanti e rappresentano molte delle più grandi città italiane: da Palermo a Napoli, da Firenze a Milano.

 

In questa vicenda, però, la rivolta dei sindaci fa la parte del dito che indica la luna. Il punto non è la legittimità della disobbedienza civile dei primi cittadini, ma la vera natura del decreto sicurezza. Un provvedimento disumano dal punto di vista etico (ma di questo è meglio non parlare per non essere etichettati come “buonisti”) e fallimentare in termini pratici, perché non garantirà alcun surplus di sicurezza: anzi, produrrà l’effetto opposto, aumentando di molto l’insicurezza.

 

 

La novità più grave è la cancellazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che cambia lo status di 130mila persone finora legalmente residenti in Italia, trasformandole in immigrati irregolari (o clandestini, come li chiama Salvini, con linguaggio da bucaniere). Persone che fino a ieri avevano diritto a stare nel nostro Paese e che di punto in bianco, senza motivo, si ritrovano gettate ai margini della società. Non possono più avere una casa, né un lavoro.

 

Come se non bastasse, l’articolo 13 del decreto, quello più contestato dai sindaci, stabilisce che nemmeno il permesso di soggiorno rilasciato a un richiedente asilo basterà per l’iscrizione all’anagrafe e quindi per il diritto alla residenza. I Comuni non potranno più rilasciare la carta d’identità né consentire l’accesso a servizi come l’iscrizione al servizio sanitario nazionale o ai centri per l’impiego. Questo significa più emarginazione, più segregazione, più degrado, più rabbia, più disperazione.

 

Non è vero, invece, che grazie al decreto sicurezza gli africani smetteranno di imbarcarsi per l’Italia. Chi blatera del “valore di deterrenza” di questo provvedimento non ha idea delle situazioni da cui scappano le persone che chiedono protezione umanitaria. Se la scelta è fra morire legalmente a casa o vivere illegalmente in Italia, l’istinto di sopravvivenza non spinge davvero nessuna a consultare le leggi nella nostra Gazzetta Ufficiale. Peraltro, gli sbarchi sono già crollati grazie all’accordo stretto da Minniti con i libici, i quali dietro pagamento intrappolano gli aspiranti profughi in campi di concentramento.

   

Un altro mito da sfatare è quello che riguarda i rimpatri. Non è vero che grazie al decreto sicurezza aumenteranno in modo significativo. Rispedire uno straniero nel suo Paese è una procedura complicatissima e costosissima, che non dipende solo dalle autorità italiane. Bisogna innanzitutto accertare la nazionalità di soggetti che spesso sono privi di documenti e, ovviamente, non hanno alcun interesse a collaborare. Dopo di che servono accordi con i Paesi di origine dei migranti, che però in molti casi rifiutano di prendere in carico queste persone, impedendo le espulsioni.

 

La morale della favola è che il decreto sicurezza non riduce affatto il numero di stranieri in Italia, ma aumenta a dismisura quelli considerati irregolari e quindi costretti a vivere di espedienti nel nostro Paese. Al tempo stesso, riduce i diritti delle persone che vivono qui legalmente mentre aspettano che sia valutata la loro richiesta d’asilo. Così l’integrazione diventa un miraggio, mentre le occasioni di conflitto si moltiplicano. E in queste condizioni il livello di sicurezza aumenta o diminuisce?

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