La sfortuna finale delle persone a bordo della Sea Watch 3 è di essere finite in acque italiane a pochi mesi dalle elezioni europee. In altri periodi sarebbero probabilmente sbarcate in Italia nel silenzio e nell’indifferenza generale, come fino a poco tempo fa accadeva quasi sempre a chi si trovava nelle loro stesse condizioni. Ora invece è diverso.

 

Con l’appuntamento elettorale in arrivo, Matteo Salvini ha più bisogno che mai di premere sull’acceleratore della propaganda. E in questo è inimitabile. Non si lascia frenare da alcuno scrupolo morale, nemmeno da quel minimo senso di decenza che ci si aspetta di trovare in chiunque, figurarsi in un ministro della Repubblica.

 

In spregio a qualsiasi principio di umanità, il ministro degli Interni italiano fa propaganda sulla pelle degli ultimi. Parliamo di 47 persone in tutto, fra cui 13 minori non accompagnati. “I migranti sono stremati e debilitati - spiegano i volontari della Ong - raccontano dei mesi trascorsi nelle prigioni libiche e riportano traumi seri per gli abusi e le torture subite”.

 

In realtà, negare a queste persone l’approdo in Italia è illegale. In base alla Convenzione di Amburgo del 1979 e ad altre norme sul soccorso marittimo, gli sbarchi devono avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. E la Libia, è evidente, non può essere considerata un porto sicuro.

 

Il problema è che la legge non interessa a nessuno, perché non è solo l’Italia a violarla. Di fronte ai rimproveri che arrivano dalle altre capitali europee, Salvini ha buon gioco a rinfacciare all’Ue di aver lasciato sola l’Italia e di non aver onorato gli accordi sui ricollocamenti. Su questo ha ragione, non si discute. A questo punto però la domanda è un’altra: il comportamento ignobile dell’Unione europea nei confronti dell’Italia giustifica la crudeltà dell’Italia nei confronti di chi è sulla Sea Watch 3? La risposta è no, ovviamente. Da nessun punto di vista.

 

Questa linea sarebbe inaccettabile anche se portasse un tornaconto politico sul piano internazionale, ma non è nemmeno questo il caso. L’atteggiamento del governo italiano non sta affatto costringendo gli altri Paesi a prendere atto del problema e a darsi da fare. Al contrario, sta irrigidendo le posizioni di quelli che dovrebbero essere i nostri principali alleati, aumentando ancora di più l’isolamento dell’Italia in Europa. Respingere le navi delle Ong, insomma, non ci avvicina affatto a una soluzione, ma rende la questione ancora più difficile da affrontare. È significativo che, in Europa, i migliori amici di Salvini siano Orban e la compagnia cantante di Visegrad, cioè i Paesi più nazionalisti e ottusi di tutta l’Unione, che mai e poi mai accetteranno alcun piano di ricollocamento comunitario.  

 

Ma se la strategia salviniana non ha alcun senso in termini di politica estera, è innegabile che sia efficacissima sul piano della propaganda. La retorica dell’uomo forte, del Capitano che tira dritto (per usare una delle tante espressioni mussoliniane tornate in voga) piace moltissimo a una larga fetta di elettorato. Del resto, una mobilità elettorale come quella innescata dalla Lega negli ultimi 10 mesi non si era mai vista nella storia della Repubblica: il partito di Salvini ha più che raddoppiato i consensi di cui gode nel Paese, passando dal 17% incassato alle politiche del 4 marzo 2018 all’attuale 35% registrato dai sondaggi, punto più punto meno.

 

La Lega è diventata così di gran lunga la lista numero uno, distanziando di parecchio il Movimento 5 Stelle, che pure alle ultime elezioni aveva preso il doppio dei voti. Ora, perché mai Salvini dovrebbe modificare una linea di condotta così fertile sul piano del consenso? In teoria, potrebbe farlo perché salvare vite è meglio che averle sulla coscienza. Ma pare che questo non gli interessi.

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