L’improvvisa voglia di guerra della politica italiana rischia non solo di annullare la ripresa post-pandemia, ma anche di trascinare il Paese in una nuova crisi economica. E per cosa? Non c’entra nulla la difesa della democrazia ucraina, peraltro mai esistita. Sembra piuttosto che le ragioni dell’interventismo siano di natura personale.

Prendiamo i due politici nostrani che nelle ultime settimane hanno calcato in testa con più forza l’elmetto della Nato: Mario Draghi ed Enrico Letta. Del primo basta ricordare il discorso d’insediamento alle Camere: in quella sede, l’attuale Presidente del Consiglio rimarcò più di una volta la professione di fede atlantista dell’Italia, e ora sta semplice mantenendo le promesse. Come la quasi totalità dei suoi predecessori, il Capo del governo italiano si dimostra disponibile a sacrificare l’interesse dei suoi connazionali sull’altare dell’obbedienza a Washington. Del resto, in assenza di questa predisposizione non sarebbe mai arrivato a Palazzo Chigi.

 

Lo sa benissimo anche il segretario del Pd, che di guerra non capisce nulla, ma nelle dinamiche del potere si trova decisamente a suo agio. Per natura dimesso e conciliante, Letta si è acceso di inusitato fervore quando ha avuto l’occasione di schierarsi con l’esercito americano, appoggiando l’invio di uomini e armi a sostegno della cosiddetta “resistenza” ucraina. E con quale obiettivo, se non quello di rientrare a Palazzo Chigi dopo Draghi? Del resto, il Partito democratico è il principale referente politico degli Stati Uniti in Italia: non a caso negli ultimi 15 anni si è ritrovato quasi sempre al governo, pur senza mai vincere le elezioni.

Basta sfogliare un qualsiasi manuale di storia contemporanea per rendersi conto che il nostro Paese non ha mai avuto un presidente del Consiglio sgradito a Washinton. La controprova di questo assioma è Matteo Salvini, che i manuali non sa nemmeno dove si comprino: come collocazione geopolitica, il segretario leghista ha scelto la parte dell’utile idiota di Putin e per questo non è mai diventato - né mai diventerà - presidente del Consiglio.

Ma torniamo all’attualità più stringente. Secondo alcuni, rifiutare di sostenere militarmente gli ucraini vorrebbe dire invitarli ad arrendersi e quindi, in sostanza, schierarsi dalla parte dei russi. Questo ragionamento sembra influenzato più dai film di guerra hollywoodiani che da un’analisi lucida della situazione. Le domande da porsi sono due. Primo: quante possibilità hanno gli ucraini - seppure con il sostegno di Usa e Ue - di respingere con successo le truppe russe? La risposta è facile: nessuna. Nella migliore delle ipotesi, il conflitto si protrarrà per anni: i russi conquisteranno il controllo formale del territorio, ma lo scenario sarà quello di una guerriglia endemica. E il Paese sprofonderà nella devastazione totale, sul modello di Afghanistan e Siria. Di qui la seconda domanda: visto che gli ucraini non hanno speranze, la Nato dovrebbe fare ancora di più? Dovrebbe scendere in campo in forze, magari attaccando la Russia? Ecco, questo sarebbe l’inizio della Terza guerra mondiale; non proprio la migliore delle idee.

Ne consegue che l’unica via per uscire dal pantano è quella diplomatica. Anche Mosca è interessata a perseguirla, sapendo benissimo che tenere sotto controllo per anni un territorio grande come l’Ucraina è un’impresa difficile e dispendiosa. Allo stesso tempo, però, il Cremlino non accetterà mai di vedere basi missilistiche americane installate a pochi chilometri dai suoi confini.

Il punto di caduta potrebbe essere quindi che la Russia accetti l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, ma l’Occidente si impegni a mantenere la neutralità militare di Kiev, rinunciando una volta per tutte al suo ingresso nella Nato. Per arrivare a un compromesso del genere, però, bisogna lavorare sui canali diplomatici. Il che significa non dire, come ha fatto Draghi, che “il dialogo con la Russia ora è impossibile”. Tutte le strade alternative, infatti, sono infinitamente peggiori: per gli ucraini, per i russi, per gli europei e soprattutto gli italiani. Certo, magari non per Draghi e Letta.

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