Anche nel 2023 i “rompipalle”, come li chiama Lord Salvini, potranno pagare il caffè con il Pos. Il governo cede sotto la pressione della Commissione europea e cancella dalla legge di bilancio la norma che avrebbe concesso agli esercenti di non accettare pagamenti digitali sotto i 60 euro. La capitolazione, che sarà certificata attraverso un emendamento alla manovra, è totale: per settimane si è parlato di possibili soglie di compromesso a 30 o a 40 euro, ma alla fine non c’è stato spazio per alcuna mediazione con Bruxelles. La regola salta e basta, per cui anche l’anno prossimo i commercianti non potranno rifiutare alcun pagamento - nemmeno il più misero - con bancomat o carte di credito.

 

L’umiliazione brucia, ma Giorgia Meloni cerca di salvare la faccia alzando una cortina di fumo intorno ai reali intenti della norma sul Pos: “Se non ci sono i margini” per la trattativa con l’Europa “ci inventeremo un altro modo per non fare pagare agli esercenti le commissioni bancarie sui piccoli pagamenti”, ha detto domenica la Presidente del Consiglio.

Bel tentativo, ma è chiaro che l’obiettivo della misura non è mai stato quello di aiutare i commercianti (e i tassisti) a non subire il salasso delle banche. Il motivo? Semplice: la norma che evita questa ingiustizia esiste già. Si tratta di un credito d’imposta sulle commissioni introdotto per la prima volta da Giuseppe Conte e rafforzato poi da Mario Draghi, che lo ha portato dal 30 al 100%, con un tetto di fatturato a 400mila euro.

Il vero scopo della norma sul Pos era quindi un altro, molto più semplice: permettere ai commercianti (e ai tassisti) di evadere le tasse in santa pace sulle transazioni più piccole. Un obiettivo che, del resto, permea anche altri capitoli della legge di bilancio, come l’altra norma sui pagamenti (l’innalzamento a 5mila euro del tetto al contante, che nel 2023 sarebbe dovuto invece scendere da 2mila e mille euro) e i nuovi condoni con i quali si cementa la convinzione italica che pagare le tasse è una debolezza da gonzi ansiosi.

Anche le sanatorie sui debiti fiscali sono state bersagliate dalla Commissione europea, che però, per il momento, ha scelto di concentrare la pressione sulla norma anti-Pos, più semplice da contestare e da far saltare. Con quella misura, infatti, l’Italia avrebbe fatto un passo indietro sul fronte dei pagamenti digitali, aprendo un nuovo (l’ennesimo) varco all’evasione fiscale e quindi rinnegando una serie di impegni presi nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Nella lista degli obiettivi raggiunti che Mario Draghi ha inviato alla Commissione a giugno rientrava una misura di segno opposto a quella meloniana e in linea con lo spirito del PNRR: multe di 30 euro, a cui aggiungere il 4% del valore della transazione, in caso di rifiuto dei commercianti al pagamento con il Pos. Per tutti, senza soglie di esenzione. Certo, non proprio una stangata capace di funzionare da deterrente per chi è allergico agli scontrini, ma nemmeno un invito a evadere in carta bollata com’era il testo della manovra approdato in Parlamento.

In ogni caso, c’è poco da discutere: le multe a chi rifiuta il Pos erano uno dei traguardi a cui l’Europa ha subordinato l’erogazione dei fondi collegati al PNRR. Per il governo, quindi, sarebbe stato troppo rischioso aprire un fronte di guerra sul Piano per una misura tutto sommato marginale. C’è da scommettere, anzi, che lo scontro vero e proprio sarà evitato anche più avanti. Se e quando il governo italiano chiederà davvero di ridiscutere per intero il PNRR, faremo meglio a ricordarci di questa faccenda del Pos. Un paradigma del proclama sbandierato seguito dalla ritirata ingloriosa. Insomma, del voglio, ma non Pos.

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