di Giovanna Pavani

Certe cose si devono vivere sulla propria pelle, altrimenti non le capisci. Puoi anche essere stato povero un tempo, ma poi gli agi della vita da ricco ti fanno dimenticare subito cosa vuol dire non avere nulla in cui sperare, non solo per te ma anche per i tuoi figli. Ci si adatta, per carità, ad avere il portafogli sempre vuoto e a considerare che si può fare a meno di tante cose, talvolta anche dell’essenziale, perché tanto non si ha scelta. Ma non è giusto. A meno che, un giorno, il tuo datore di lavoro, uno con tanta grana in tasca, che va in giro in Mercedes e che spende quello che tu guadagni in un mese solo per gli sfizi, non venga improvvisamente fulminato da un’idea destinata a cambiare la sua vita e anche la tua, che lavori per lui. Capita nelle favole, ma la realtà, talvolta, sorprende. E in positivo. E’ successo in un paesino vicino ad Ascoli Piceno, Campofilone, non meglio noto alle cronache se non per il fatto che lì c’è una fabbrichetta di pasta all’uovo, nulla di particolarmente grande: il fatturato non supera i due milioni di euro. Il proprietario si chiama Enzo Rossi, ha 42 anni, una famiglia normale con due figlie. Nel suo pastificio lavorano una ventina di persone, per lo più donne. Media di stipendio: mille euro al mese. Poco, ovviamente. Tant’è che le operaie si lamentano spesso di non farcela ad arrivare alla fine del mese, ma il signor Enzo, come tutti gli imprenditori che si rispettino, non ci crede neanche un po’. Fino a quando non ci prova lui a vivere con quella cifra per un mese, con una famiglia da campare. Quasi una scommessa, la sua: vivere per un mese con lo stipendio dei suoi operai. Non solo: ci ha messo tutta la famiglia a lavorare in fabbrica per un mese, a partire dalle sue figlie, bambine viziate che non avevano mai dovuto rinunciare a nulla in vita loro. Le ha fatte lavorare gratis. E l’esperimento è riuscito. Al punto che il signor Rossi, alla fine del duro girone dell’inferno, se n’è uscito con una frase che lui, uomo di solide posizioni di destra, non avrebbe mai creduto di poter pronunciare: “E’ giusto togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Ed ha aumentato di 200 euro netti gli stipendi dei suoi operai.

Se dovesse funzionare sempre così, verrebbe la voglia di costringere tutti i papaveri di Confindustria a fare un giro da operaio per almeno due mesi della loro vita. Ma non siamo così idealisti e sognatori da credere che uno come Luca di Montezemolo, anche dopo aver messo le mani alla catena di montaggio della Fiat per un mese, diventerebbe più umano. Certa gente non cambia. L’Italia, però, è un Paese dove di Fiat ce n’è una sola. E dove le aziende che macinano la maggior parte del Pil sono soprattutto le piccole e medie imprese, quelle come il pastificio del signor Rossi, tanto per spiegare. E dove ci piacerebbe almeno sognare che altri piccoli imprenditori come lui arrivassero alla sua stessa considerazione. Questa: “Stiamo tornando all'800 - ha spiegato l’esausto imprenditore alla fine del “gioco” - quando nella mia terra c'erano i conti e i baroni da una parte ed i mezzadri dall'altra, e si diceva che i maiali nascevano senza coscia perché i prosciutti dovevano essere portati ai padroni. Negli ultimi decenni il livello di vita dei lavoratori era cresciuto e la differenza con gli altri ceti era diminuita. Adesso si sta tornando indietro, e allora bisogna rimediare”.

E perché tutti sappiano come si fa, diciamo subito che Enzo Rossi ha fatto così: “ Io mi sono assegnato 1.000 euro, e altri 1.000 sono arrivati da mia moglie, che lavora in azienda con me. Duemila euro per un mese, tante famiglie vivono con molto meno. Abbiamo fatto i conti di quanto doveva essere messo da parte per la rata del mutuo, l'assicurazione auto, le bollette... Con il resto, abbiamo affrontato le spese quotidiane. Il risultato è ormai noto: dopo 20 giorni non avevamo un soldo. Mi sono vergognato, anche se ero stato attento a ogni spesa. Sa cosa vuol dire questo? Che in un anno intero io sarei rimasto senza soldi per 120 giorni, e questa non è solo povertà, è disperazione”.

A Mirafiori, come in tutte le realtà operaie di questo Paese lo sanno bene che è così; si vergognano anche loro, certo. E si disperano di sicuro. Solo che, a differenza del signor Rossi, per loro la vita è questa e basta. Lui, dopo un mese, ha rimesso che chiavi dentro la Mercedes ed è ripartito. Ma con uno spirito diverso: “Il momento peggiore - ha raccontato ad alcuni cronisti - è stato l’ultimo, quando ho deciso di arrendermi. Entro nel bar con 20 euro in tasca, gli ultimi. Sono conosciuto in paese, siamo 1.700 abitanti in tutto e gli imprenditori non sono tanti. Mentre entro un pensiero mi fulmina: e se trovo sei o sette amici cui offrire l'aperitivo? Non ho abbastanza soldi. Ecco, ci sono tanti operai che, quando tocca il loro turno, debbono pagare da bere agli altri, perché non è bello fare sapere a tutti che si è poveri. Sono in bolletta e non lo dicono a nessuno. In quel momento ho pensato: tanti di quelli che sono qui sono poveri davvero e non per un mese. Mi sono sentito come quando sei immerso in mare a 20 metri di profondità e scopri che la bombola è finita”.

E se sei a 40 metri è anche peggio, ma non è una questione di aver sbagliato i calcoli. E’ che gli operai italiani ci partono dall’inizio del mese con la bombola che è già semivuota. L’unica chance è respirare poco, muoversi poco, consumare poco, proprio come faresti sott’acqua con la bombola scarica senza poter risalire di corsa, che ci si lascia la pelle. Incidenti che talvolta possono succedere, ma che non possono essere la normalità. Un paragone che è servito parecchio al signor Rossi per capire. Così, uscito dall’acqua, dalla sua apnea di un mese, è corso in fabbrica ed ha aumentato gli stipendi. Di quanto? Stavolta i conti li ha fatti bene, per evitare di dover presto rimettere mano alla “bombola scarica”.

“Secondo l'Istat - ha spiegato ai soliti cronisti incuriositi - il costo della vita è aumentato di 150 euro al mese. Per quelli come me non sono nulla. Per gli operai 150 euro al mese in meno sono quasi 2.000 all'anno, e questo vuol dire non pagare le rate della macchina o non comprare il computer al figlio. E poi, lo confesso, io ho aumentato i salari anche perché sono un egoista. Secondo lei, come lavora una madre di famiglia che sa di non poter arrivare a fine mese? Se è in paranoia, dove terrà la testa, durante il lavoro? Le mani calde delle mie donne che preparano la pasta sono la fortuna della mia azienda. E' giusto che siano ricompensate”.

Orbene, pare che dopo l’aumento, gli operai della fabbrica siano andati a raccontare l’esperienza del padrone tessendone, ovviamente, le lodi più sperticate. E raccontando, anche, di quanto sia diventato bello lavorare per una fabbrica dove c’è un imprenditore che ci tiene ai propri lavoratori. Nelle grandi imprese del nord Europa questa pratica di aumentare gli stipendi se la fabbrica va bene o di gratificare quegli operai che lavorano meglio e di più è già in voga da parecchi anni e si chiama “fidelizzazione del personale”, un valore aggiunto che i baroni di Confindustria non applicheranno mai per manifesta inadeguatezza imprenditoriale: i risultati, d’altra parte, parlano da soli. Ad Ascoli Piceno, tuttavia, sembra che si stia aprendo una piccola crepa. Quando si dice l’esempio.

Visti i risultati, molti piccoli imprenditori della zona hanno chiamato il signor Rossi, tanto per sapere se ne è valsa la pena. “Mi hanno telefonato per sapere se l'aumento di 200 euro è uguale per tutti e altre cose tecniche - ha raccontato il protagonista - forse vogliono imitarmi e questa è una cosa buona. Io ho spiegato che sarebbe giusto non fare pagare alle aziende i contributi relativi a questo aumento. Se il governo capisce l'idea di prendere ai ricchi per dare ai poveri non resterà soltanto un manifesto”. L’ultimo che ci ha provato si chiamava Robin Hood e per i ricchi era considerato un bandito. Ma lui rubava. E qui da noi chi ruba non sono certo gli operai.

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