di Elena G. Polidori

E’ sconcertante, in queste ore, il silenzio che sta eludendo una riflessione collettiva ben più urgente delle svolte legalitarie e razziste conseguenti al brutale omicidio di Giovanna Reggiani. Mentre le ronde fasciste mettevano in atto la più squallida delle vendette nei quartieri periferici della Capitale, picchiando selvaggiamente quei “diversi da sé” che altra colpa non hanno se non quella di essere dei poveracci alla ricerca spasmodica di una vita migliore, altre due donne venivano selvaggiamente brutalizzate in due diverse regioni d’Italia senza che questi atti potessero in alcun modo essere ricondotti a questioni di stampo razziale. A Perugia, una giovanissima studentessa è stata uccisa nella sua stanza da letto, sgozzata probabilmente da qualcuno che lei conosceva bene e al quale, come di prammatica, ha aperto la porta della sua casa. Poche ore prima, a Cagliari, un’altra giovane ha chiesto un passaggio ad un uomo, forse anche quello un amico o forse un semplice conoscente, ed è finita in coma all’ospedale, pestata, violentata e poi gettata dall’auto. Tre donne, in poche ore, che vanno ad allungare il doloroso elenco della violenza sessuale che supera di gran lunga, nei numeri, quello dei morti sul lavoro. ma nessuna convocazione urgente del Consiglio dei Ministri é stata annunciata. Le donne tra i 16 e i 50 anni muoiono più facilmente per violenza che per incidenti stradali o malattie (dati Istat 2006); quasi 14 milioni di donne hanno subito almeno una volta nella loro vita un tentativo di violenza e solo negli ultimi 12 mesi, il numero delle donne vittime di violenza è stato di 1.150.000. Nel 2006 si sono registrati 74mila tra tentativi e stupri veri e propri. Eppure la violenza sulle donne è un dramma che viene rimosso.

E’ stato così anche in questi giorni. Mentre il governo si è affrettato a trasformare in decreto un disegno di legge sulla sicurezza per far piazza pulita di immigrati scomodi, la legge quadro sulla violenza alle donne continua a stagnare in commissione Giustizia della Camera senza che a nessun esponente politico, neppure al “dolce Veltroni”, così attento ai deboli e alle minoranze quando c’è da far cassa di voti, sia venuto in mente di dare una scossa al governo per consentire, almeno, una corsia preferenziale all’articolato, avviandolo verso una rapida approvazione parlamentare. Di nuovo, dunque, la questione della violenza sulle donne passa in secondo ordine e la ricerca di soluzioni, la riflessione culturale sulla brutalità, che non fa differenze di età, etnie e appartenenze sociali, viene scavalcata dalla necessità di dare svolte legalitarie ad una società che non ha certo bisogno dell’ennesima campagna anti immigrati dopo quelle demenziali contro i lavavetri di Firenze e Bologna. Quando è un albanese o un rumeno ad uccidere una donna si scatena l’inferno, ma quando invece è un benestante cittadino italiano del ricco nord est che massacra la famiglia allora la questione ha un peso diverso.

C’è di che vergognarsi. Invece di ragionare sulla cultura del rispetto, delle azioni soprattutto culturali e sociali per fare in modo che nessuno, italiano, rumeno o cinese si senta in diritto di disporre del corpo di una donna, si propongono chiusure di frontiere e pericolose generalizzazioni di stampo razzista. Solo perché è più facile. Non ci sono stati e neppure ci saranno allarmi nazionali per la serie di stupri e violenze che quotidianamente colpiscono le donne in strada, ma soprattutto nelle loro case, lontane dalle telecamere di cui si vogliono riempire le nostre città; non ci sarà alcun ripensamento sulla necessità, invece, di farle rivivere queste strade, evitando di svuotarle pericolosamente per tornare a quella cultura che voleva le donne meno libere e, dunque, meno invadenti nella società degli uomini. Di certo, dopo questo decreto, le donne non saranno più sicure, le case e le città in cui viviamo saranno pervase dalla paura, dall’insicurezza e dunque ancora vuote; e non un passo avanti sarà stato fatto contro questa cultura che non considera l’aggressività e la violenza contro le donne una piaga sociale, ma solo e una serie di problemi individuali.

Per scuotere, anche se solo minimamente, le coscienze su questa emergenza nazionale, è stata organizzata per il prossimo 24 novembre una manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne. L’hanno indetta delle donne senza particolari connotazioni politiche, né legate all’antico e ormai polveroso associazionismo femminista. Donne qualunque che chiederanno che la violenza sulle donne non venga derubricata a questioni di sicurezza pubblica con provvedimenti solo di stampo repressivo. “La violenza maschile – si legge nel comunicato che indice la manifestazione - non conosce differenze di classe, etnia, cultura e religione e senza un reale cambiamento culturale e politico, che sconfigga una volta per tutte patriarcato e maschilismo non può esserci salto di civiltà”.

Inutile nascondersi che sarà una manifestazione difficile, perché è contro il mondo, per tutte coloro che vengono rese deboli, separate tra mente e corpo dalla violenza. Quindi contro chi? La manifestazione potrà scuotere davvero le coscienze e premere sull’acceleratore dell’approvazione della legge? Va detto, però che nel testo della Camera si evidenzia un limite: si parte dall’idea, di stampo cattolico, di una legge per la famiglia. E’ l’ipocrisia di sempre che si rinnova, quella che vuole la donna non persona in sé, la vittima non persona ma spesso adescatrice e la famiglia non luogo di violenza. Se quella legge, ad un anno dalla sua ideazione, non è ancora stata approvata, è anche perché su questi fronti e su norme riguardanti lo stalking oppure sulle risorse per i centri antiviolenza ci sono posizioni ancora fortemente difensive.

La violenza sulle donne, di fatto, non sprigiona ancora quel forte senso di rivolta morale che una società civile dovrebbe contenere nel proprio dna, ma la sua mancanza mette in grande evidenza una rottura culturale che si è consumata negli ultimi anni tra uomini e donne e che sembra sempre più complicato superare. Ci sarebbe da chiedersi perché. Anche se si intravede che il confine è ormai quello tra civiltà e barbarie e che in alcun modo potrà essere superato con l’alibi dei decreti d’emergenza contro i diversi, gli altri, quelli sempre più feroci di quelli che invece, con discrezione, le donne le ammazzano ogni giorno dentro le mura delle loro case. Sono i loro compagni di sempre, non di certo i lavavetri dei Lungarni di Firenze.

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