di Rosa Ana De Santis

Accadeva alla vigilia del battesimo del Popolo delle Libertà. Il testo Calabrò, frettoloso, carico di contraddizioni e in assoluto isolamento rispetto alla legislazione del resto d’Europa, veniva approvato. Affondando i principi fondativi della Costituzione, sfidando la volontà degli italiani. L’ultimo sondaggio riportato dal Corriere della Sera dice infatti che i cittadini vogliono decidere in autonomia sulla fine della propria esistenza, senza delegare ad alcuno - tantomeno allo Stato - un ruolo decisionale nel merito. La mobilitazione contro questa legge inutile e vessatoria, come ha più volte sottolineato il senatore del PD Ignazio Marino, sta prendendo forma. Il Comune di Milano ha accolto una mozione del PD, sottoscritta anche dalla Lega, per attivare un registro dei testamenti biologici dei cittadini milanesi. Si muovono le associazioni dei pazienti, l’ordine dei medici, ora l’associazione dei chirurghi ospedalieri. E i numeri, le osservazioni, le storie raccontate dai camici bianchi corrodono l’arroganza intellettuale della politica che ha dimostrato, e non solo a destra, di essere guidata da principi di fede e dall’ossessione delle arrangiate mediazioni. Una storia tutta italiana.

Ecco i numeri che la politica vuol ignorare. Un sondaggio realizzato dall’Associazione dei Chirurghi Ospedalieri inviato a 1.100 chirurghi, cui hanno risposto in 523, dice che l’88% degli intervistati “condivide il principio” dell'articolo 53 del codice medico di deontologia, secondo il quale - di fronte al rifiuto volontario espresso da una persona di nutrirsi, nonostante le informazioni fornite dal medico sulle gravi conseguenze del digiuno, il medico “non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale”, pur “continuando ad assisterla". Il 71% degli intervistati conferma che nutrizione e idratazione artificiale sono trattamenti medici. Si dividono invece sull’idea che il DAT possa essere vincolante o orientativo. Il 98% dei chirurghi conferma, senza eccezioni, l'articolo 16 del codice deontologico: "Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato o un miglioramento della qualità della vita". Lo stesso 98% riconosce validità assoluta per l'articolo 38, secondo cui “se il paziente non é in grado di esprimere la propria volontà, il medico deve tenere conto di quanto precedentemente manifestato in modo certo e documentato precedentemente allo stato di incoscienza”.

Se questi numeri confermano integralmente l’adesione al codice deontologico, e se questa legge dovesse trovare la sua consacrazione definitiva alla Camera, nelle corsie degli ospedali si creerà una frattura insanabile e senza precedenti tra il codice deontologico dei medici, riconosciuto integralmente nella sua validità, e la legge dello Stato. Il prof. Vincenti, presidente di ACOI, ricava da questa analisi una visione d’insieme preoccupante sul lavoro dei medici in Italia e sul destino della volontà dei pazienti.

A queste conclusioni ha risposto il presidente vicario dei senatori PDL, Quagliarello, ribadendo che quella che sembra una frattura è piuttosto lo sforzo di mediare nel corpo della legge il non accanimento terapeutico e il divieto all’eutanasia. L’idea che i seminari, gli approfondimenti, il confronto e le discussioni avviate in Commissione Sanità a Palazzo Madama saranno sufficienti a scardinare l’idea sottesa alla legge, che è quella di impedire un completo esercizio dell’autodeterminazione sul fine vita, è una vana speranza. Non è un caso se a paventare il ritorno o la ribalta dello Stato etico non è la solita fronda radicale, o la sinistra della sinistra, ma il presidente della Camera Gianfranco Fini.

Dorina Bianchi, capogruppo del Pd in commissione Sanità del Senato, ha riconosciuto che il ddl Calabrò è uscito “peggiorato” dal Senato. Il riferimento è per “l’eliminazione del vincolo della dichiarazione anticipata di trattamento” e il “depotenziamento del ruolo del fiduciario”. Una legge, va detto, che cosi come è strutturata, destinata senza eccezioni a chi versa in condizioni di stato vegetativo senza aver lasciato alcuna dichiarazione anticipata, allo stato attuale non servirà proprio a nessuno. L’onorevole Bianchi, cattolica laica non senza imbarazzi, definisce alimentazione e idratazione forzata atti medici e non terapie. Ma dice anche che allo stato attuale la legge impedisce l’eccezionalità di alcuni casi in cui poter stabilire l’interruzione di questi trattamenti. Cosa sia questa eccezionalità è tutto da stabilire. Quanto sia grande la paura di disobbedire alle regole della Chiesa è l’altra parte della storia.

Ed è su questo terreno che si fa forte l’alleanza tra le ali conservatrici del nostro Parlamento e gli uomini di fede. Il prof. Saraceni, presidente dei medici cattolici, ricorrendo all’argomento dei malati di Alzheimer, si dice contrario alla DAT su alimentazione e idratazione forzata, considerando impossibile - non si capisce perché - che una persona cui venga diagnosticata una malattia degenerativa progressiva di questo tipo possa lasciare espresse le propria volontà sul modo in cui voler finire la propria esistenza. Mentre quanti versano ora in queste condizioni, sull’esempio di Eluana, potrebbero, attraverso un proprio fiduciario, trovare il modo di scegliere anche quello che non possono scegliere più. Forse parlare di volontà nella parte del DDL legata alla DAT e non di orientamento del paziente avrebbe risolto meglio l’ambiguità, ma comunque avrebbe modificato ben poco dell’opposizione dei medici cattolici per i quali i motivi etico-religiosi, raccomandati da Tettamanzi, prevalgono spesso sulle istanze della scienza medica.

Il testo di legge arriverà alla Camera e c’è da augurarsi che l’attesa e la riflessione prendano il posto dell’ansia legiferante, quella che finora ha prodotto mostri di legge al pari di altre, come la legge 40, che proprio in questi giorni capitola sotto la condanna della Cassazione e sotto i moniti delle storie private di chi quella legge l’ha subita sul proprio corpo. Non c’è motivo per avere troppa fiducia però , se alla fine di questi maldestri e incoerenti tentativi di tradurre per legge l‘umana pietà per chi è troppo debole perfino per morire, bisogna ascoltare le parole di un mediatore eccellente come Rutelli che, in vento di retorica da comizio, ricorda a tutti la priorità della vita di tutti giorni dei cittadini, come a voler invitare i suoi colleghi e non impaludarsi troppo sugli stati vegetativi e sugli embrioni.

E’ così che la legge torna alla Camera. Con l’imbarazzo di una feroce aggressione alla libertà personale e la pericolosità di un mosaico politico governato dalle ragioni etiche. Un rumore legislativo che crea più problemi di quanti ne era chiamato a risolvere. Mentre sull’onda delle parole di Rutelli si diffonderà forse la comoda menzogna per cui la civiltà morale di un paese non può quasi permettersi il lusso di pensare al modo giusto di seppellire i propri morti e far nascere i propri figli, perché ha da combattere altre battaglie più urgenti, non accorgendosi che proprio occuparsi di Eluana è stata l’occasione aurea di chiamare la politica a una sfida sovraumana per la libertà. Se non accadrà, ancora una volta, di dover assistere alle omelie e alle solite propagande costruite ad arte per giustificare il ritardo e l’incapacità di chi quelle sfide é stato eletto per affrontarle tutte. In nome di tutti, non in quello di un presunto dio.

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