di Mario Braconi

Lo scorso 15 agosto Google ha annunciato la sua intenzione di acquistare Motorola Mobility, il produttore di cellulari, televisori e dispositivi vari legati al mondo delle telecomunicazioni. A valle dell'approvazione dell'Antitrust USA, data per scontata, la casa di Mountain View pagherà 40 centesimi di dollaro per ogni azione di Motorola, con un premio del 63% rispetto alle quotazioni correnti ed un esborso complessivo di 12,5 miliardi di dollari. In effetti, Google, come il suo prodigioso primogenito Android, è uno dei pochissimi marchi globali cui non viene associato un  prodotto specificamente determinato. Come mai l'azienda che meglio rappresenta il “cervello” della Rete, improvvisamente dimostra interesse per la produzione di hardware oltretutto mettendo sul piatto una quantità enorme di cassa? “Credo che ora ci troviamo in una situazione privilegiata per proteggere l’ecosistema Android, cosa che andrà a vantaggio di tutti i nostri partner [ovvero dei fabbricanti di dispositivi che, come Samsung, HTC e LG, hanno creduto nel progetto Android]”: la chiave per comprendere la decisione strategica di Google è in queste parole, pronunciate dal capo del legale di Google David Drummond nel corso di una conference call tenutasi lo stesso giorno dell'annuncio dell'operazione.

Facciamo un passo indietro: con la sua consueta lungimiranza, Google, con il suo Android ha deciso di entrare nel mercato dei sistemi operativi. Si tratta di un pacchetto di software che, oltre ad un sistema operativo, contiene una serie di altre codifiche che permettono una interazione sempre più efficiente tra il dispositivo e la Reti. Android è basato su una kernel Linux, il che vuol dire che è coperto da una licenza d’uso open source. Dunque, a differenza di quanto accade per i suoi due principali concorrenti, Apple e Microsoft, il codice sorgente di Android è liberamente disponibile per gli sviluppatori e per i fabbricanti di dispositivi (smartphone, pc, tablet eccetera...). In questo modo, Google potrà continuare a sviluppare software, lasciando i produttori di elettronica di consumo liberi di affinare l’hardware. E’ stato un successo: in soli tre anni, Android è diventato il primo sistema operativo per smartphone: secondo Marguerite Reardon di CNET, grazie ad Android, in tutto il mondo connesso o collegabile, Google ha messo sotto contratto 39 fabbricanti di dispositivi e 231 operatori di telecomunicazioni. Secondo Mountain View, più di mezzo milione di apparecchi con Android preinstallato vengono attivati ogni giorno...

Ma Apple e Microsoft non sono rimaste con le mani in mano: non essendo in grado di concepire un modello di business non basato sulla cessione a titolo oneroso, hanno cercato una scorciatoia. Del resto, succede spesso: quando le idee nuove cominciano a scarseggiare, si  comincia a far parlare le carte bollate. Così, ad esempio, ad agosto del 2010 Oracle porta in tribunale Google. Nonostante fosse cosa notoria che uno dei motori di Android è una copia quasi conforme del software Java della Sun, Oracle (nuovo padrone di Sun) decide di citare la società di Mountain View per violazione dei diritti d’autore (cosa che per inciso, Sun non si sarebbe mai sognata di fare). Per tentare di stoppare il simpatico robottino verde (marchio di Android) si sono viste perfino Apple e Microsoft stringere un accordo per rastrellare brevetti comprandoli dalla Novell o dalla Nortel Network, una società in liquidazione (in quest’ultimo affare era della partita anche Research In Motion, o RIM, la “mamma” di BlackBerry). Perché investire così tanti soldi in licenze software? Secondo Google, è un modo come un altro per rendere impossibile la vita ad Android. Avendo razziato ogni genere di brevetti, su ogni nuovo telefonino Android, i concorrenti possono brandire come un corpo contundente i diritti acquisiti grazie a pacchi di dollari. Grazie alla minaccia di azioni legali contro i Google, infatti, Microsoft e Apple possono rallentare l’uscita di nuovi modelli che montano Android; ovvero, meglio ancora, pretendere una “tassa” su ogni dispositivo che contenga un software anche solo somigliante a quello su cui hanno acquisito regolare licenza. Risultato: i telefonini dei concorrenti finiranno per costare di più ed essere dunque meno appetibili.

Per controbattere l'attacco, Google è corsa ai ripari: Motorola era proprio il fidanzato ideale. A dispetto della sua immagine commercale lievemente appannata, si tratta pur sempre di uno dei più antichi fabbricanti di apparecchi per le telecomunicazioni, essendo attivo da oltre ottanta anni, nel corso dei quali ha accumulato una incredibile mole di brevetti: secondo CNET, con la Motorola, Google porta in cascina la bellezza di 24.500 licenze software (di cui 7.500 “pending”, ovvero in attesa di essere garantite). Un vero e proprio capitale, con il quale in futuro Google potrà togliersi qualche sassolino dalla scarpa al momento in cui gli azzeccagarbugli al soldo della concorrenza la accusasseranno di violazione di copyright. Altrettanto strategici saranno i contatti consolidati di Motorola con gli operatori di telecomunicazioni e la sua posizione di leader nella produzione di dispositivi per tv via cavo e per la registrazione: un particolare che potrebbe diventare molto utile a Google, che l’anno scorso ha lanciato il servizio “Smart TV”, che consente di vedere direttamente sul televisore di casa contenuti internet (ad esempio video caricati su YouTube).

E' evidente che, nonostante le apparenze, l’acquisizione di Motorola ha molto senso per Google. Come nota sempre sulle colonne di CNET Roger Cheng, resta da capire l’evoluzione del quadro competivo. Come reagiranno LG, Samsung e HTC, sapendo che d’ora in avanti ogni volta che dialogheranno con Google non avranno a che fare solo un partner che fornisce  software, ma con un entità che è un partner quanto un concorrente. Cheng cita Nick Dillon, analista di Ovum: “Se Google finisse per fornire a Motorola un accesso preferenziale al suo codicei, [...] la fedeltà dei costruttori a Google potrebbe risultarne seriamente compromessa”. Non a caso, Microsoft butta il sale sulla ferita, dichiarando, a deal appena annunciato: “[...] Windows Phone è l’unica piattaforma a mantenere un ecosistema software veramente libero offrendo pari opportunità a tutti gli attori”. Al di là delle ovvie dichiarazioni di parte della concorrenza, il problema è reale: chissà se Google ci stupirà ancora una volta?

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