di Vincenzo Maddaloni

BERLINO. Chiediamocelo subito, meglio il capitalismo? La domanda incombe ad ogni istante visitando alla "Berlinische Galerie" la mostra sulla fotografia d’autore nella ex Germania dell’Est  (Künstlerische Fotografie in der DDR 1945-1989), nella quale quattro decenni di Storia sono riassunti in immagini che permettono uno sguardo approfondito su un mondo ancora non del tutto conosciuto. Infatti, quello che della mostra più attrae sono i ritratti della vita di tutti i giorni nell’ex DDR.

Si comincia con una serie di immagini impressionanti sulle condizioni in cui versava la Germania dopo la guerra, dalla fine del Terzo Reich nel 1945 alla nascita della Repubblica Democratica Tedesca nel 1949. Si prosegue con una carrellata di fotografie quasi tutte non ufficiali che, soffermandosi sui vari aspetti del sociale e sui suoi protagonisti, offre uno scenario reale di quella che era la vita nella Germania socialista fino a crollo del Muro.

Meglio il capitalismo allora? Andrea, classe 1961 che aveva 28 anni quando il muro cadde, mi risponde di sì, che è meglio, ma arriccia il naso. Confida che molti tra coloro che oggi hanno più di sessant’anni ricordano quegli anni con nostalgia, non certo per il sistema oligarchico che vi governava, ma perché vi era l’illusione che le aspirazioni del popolo fossero in cima alle priorità. Beninteso, questa nostalgia diffusa è storia recente che rischia di diventare contagiosa da quando la parola “gente” - qui come altrove in Europa - ha preso il posto della parola popolo.

Lo scambio è avvenuto sull’onda della crisi economica che ha mostrato i limiti della politica di fronte allo strapotere dell'economia e benché i movimenti popolari abbiano denunciato da tempo la distanza dei sistemi occidentali dai loro cittadini, ben poco essi possono fare per invertire la tendenza. Sicché le rivendicazioni della società civile sono diventate nel panorama mediatico un fastidioso incidente di percorso, e quindi - quando è possibile - sono cassate dai programmi.

Anche perché il Paese che tentasse di ostacolare le galoppate finanziarie del capitalismo liberista verrebbe punito dal mercato attraverso la fuga dei capitali, la svalutazione della moneta e l’abbassamento del rating del credito. E’ già accaduto nella storia dei Paesi industrializzati, sicché la grande impresa - con il pretesto dei rincari del costo del petrolio e delle materie prime, degli assilli della competizione globale - è sempre meno disposta a contrattare e sempre più propensa a indicare i lavoratori e le loro rivendicazioni contrattuali tra le maggiori cause del disastro economico.

Il risultato è che l’interesse collettivo che dovrebbe essere il principio ispiratore delle politiche pubbliche non è evidenziato dai media, come pure l’obbligo del governo di rendere conto del proprio operato ai cittadini. Pertanto la sfiducia del popolo deriva oggi dal fatto che esso non si sente più rappresentato da coloro che pretendono di parlare a nome suo; anzi costoro sono accusati di non cercare altro che mantenere i propri privilegi e servire i propri interessi particolari.

Insomma, come già temeva lo scrittore Leonardo Sciascia: «Si è scavato un fossato tra le élites ed il popolo; un fossato ideologico e sociologico che non cessa di allargarsi». E’ un malessere che in Germania si manifesta anche con una pacata riflessione sulla qualità della vita dietro al Muro. Invece nell’Italia stravolta dalla crisi, esso rischia di rompere l’alleanza storica tra  capitalismo, stato sociale e democrazia, con il pericolo di trasformare definitivamente quest’ultima in un’oligarchia «formattata» dal «pensiero unico» sulla priorità assoluta dell’economia.

Insomma, i mercati asservendo i governi ai propri interessi gestiscono di fatto il potere con una determinazione, come mai era accaduto da sessant’anni e passa a questa parte. In Italia l’evento viene vissuto in una conflittualità a tutto tondo che la campagna elettorale aggrava, e che la scena mediatica amplifica piuttosto che analizzarla. Sicché, è già nata - ad esempio - una nuova sensibilità nell’interpretazione della miseria umana, intorno alla quale la Chiesa sta giocando un ruolo determinante poiché essa possiede lo straordinario potere, mettendo a nudo le disfunzioni della società, di condizionare le politiche dei governi.

Visto da Berlino lo svolazzar di tonache nel firmamento elettorale italiano non sorprende per nulla. Del resto è dal XIX secolo, da quando l’impero ottomano entrò nel suo pieno declino, che la cultura europea di matrice illuminista ha sollevato un muro tra l’Europa della laicità e l’Europa dell’arretratezza, includendo in questa Europa di “classe inferiore” insieme all’Islam anche la Chiesa cattolica romana. Pertanto da queste parti nemmeno ci si domanda perché quella che cinquant'anni fa si proclamava "la chiesa dei poveri" ora è una chiesa che opera per i poveri, ma parla sempre meno dei poveri, del popolo e tace sugli operai. Di converso, essa stigmatizza la politica perché “schiava della dittatura del relativismo", e sostiene i tecnici che la Chiesa assecondano sebbene essi parlino di gente invece che di popolo.

Infatti, sono oggi i teologi americani impegnati nel business ethics che stilano i documenti del magistero cattolico. Dai quali emerge che il problema principale è quello di formare dei business leaders e dei managers eticamente sensibili ad un'idea di "bene comune" assai vaga, e a una "solidarietà coi poveri" molto più vicina alle opere di carità individuale che alla giustizia sociale.

Stando così le cose, la laicità diventa la prova nodale per Monti, in un paese dove la Chiesa s'intromette nella politica pesantemente e dove l'egemonia ecclesiastica non è esercitata dagli eredi del Concilio, bensì  dall'onda lunga del reaganismo cattolico che negli Usa sostiene il Partito repubblicano, come ha spiegato sull’Huffington Post il professore di Storia del cristianesimo Massimo Faggioli. Tuttavia, ancora non conosciamo bene la visione che il Professore ha del mondo. Se egli sostiene il modello liberista che prevede una netta separazione tra lo Stato e le imprese private. Oppure, dopo l’esperienza di governo, egli predilige il mercantilismo, che offre una visione corporativa in cui lo Stato e le imprese private sono alleati e collaborano nel perseguimento di obiettivi comuni, come la crescita economica interna, l’equità sociale.

Beninteso, sebbene Monti sembri godere della considerazione internazionale, non credo che le sue decisioni condizionino le scelte che il mondo si appresta a fare e dalle quali dipenderà il destino futuro di gran parte dell’umanità. Perché oggi il confronto non è più sul conflitto capitalismo - socialismo, bensì è nella lotta tra due opposte scuole di pensiero: il "liberismo" e il "mercantilismo". Il liberalismo economico, con la sua enfasi sul valore dell'imprenditoria privata ed il libero mercato, è la dottrina oggi dominante. Ma in realtà, come profetizza Dani Rodrik, docente di International Political Economy all’Università di Harvard, «il mercantilismo rimane vivo e vegeto, ed è probabile che il suo continuo conflitto con il liberalismo sia una delle forze più importanti nel determinare il futuro dell'economia globale».

Per supportare la sua ipotesi egli ricorda l’esempio cinese in quanto modello della "collaborazione governo-impresa" o dello "stato pro-impresa". Infatti la Cina è - spiega Dani Rodrik - il corifeo della nuova sfida mercantilista, anche se i leader cinesi non lo ammetteranno mai, poiché il termine stride in un contesto comunista. Tuttavia, la gran parte del miracolo economico della Cina è il prodotto di un governo socialista che ha sostenuto, stimolato e apertamente sovvenzionato i grandi imprenditori industriali sia nazionali che esteri.

Il professor Dani Rodrik esemplifica: «Anche se la Cina ha eliminato molte delle sovvenzioni esplicite all'esportazione, come condizione per l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (a cui ha aderito nel 2001), il sistema di supporto mercantilistico resta ampiamente in atto. In particolare, il governo ha gestito il tasso di cambio per mantenere la redditività dei costruttori, determinando un consistente surplus commerciale (che è sceso da poco, ma in gran parte a causa del rallentamento economico mondiale). E tuttavia, le imprese esportatrici continuano a beneficiare di una serie di incentivi fiscali».

Perché mi sono dilungato sul significato della lotta tra le due scuole di pensiero, su questa esaltazione del mercantilismo? Perché meglio di qualsiasi altro esempio spiega come  la “crisi economica” sia diventata un sipario dietro il quale si nasconde e opera una nuova compagine di comando eletta dalla globalizzazione, che unisce dirigenti politici, uomini d’affari e rappresentanti dei media, tutti convinti della pericolosità del popolo ogni qualvolta esso constata che la politica è soffocata dall’economia, è affidata al governo degli esperti che penalizzano gli aspetti sociali.

Certamente tornando per un attimo ancora sullo scenario italiano, il Professore né si pone né  propone domande sul perché la “gente” ha preso il posto del popolo, o perché prevale il “politicamente corretto” piuttosto che la difesa degli interessi della classe operaia, come si continuano a chiedere seppure in un contesto economicamente migliore quei tedeschi che vissero di qua e di là del Muro. Ad onor del vero una risposta il professore l’ha data quando infastidito dalle tante, lente procedure della democrazia, aveva auspicato una società che tramite i suoi manager, o i suoi banchieri, o i suoi economisti, "educhi il Parlamento e la politica”, e li sorpassi. L’aveva detto il 5 agosto nell'intervista al settimanale tedesco Spiegel. Non so quanti in Italia se ne rammentino. Soprattutto a sinistra.

www.vincenzomaddaloni.it

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy