di Silvia Mari

Sono passati diversi giorni dalla confessione shock di Angelina Jolie. Il tam tam dei media italiani, affascinati e allarmati dalla novità del caso, lasciano il campo ad una riflessione forse meno incline al sensazionalismo e finalmente più concreta. L’immagine di una mutilazione preventiva in assenza di malattia conclamata ha generato allarmismo, panico e spesso ha impedito all’opinione pubblica di cogliere gli argomenti scientifici che sono e devono essere alla base di una scelta cosi radicale come quella di Angelina.

C’è stata una stampa attenta e scrupolosa che ha saputo presentare doverosamente il caso scientifico e i suoi presupposti e c’è stata la moda del sensazionalismo che ha tentato di associare la chirurgia preventiva a una sorta di reazione isterica alla paura di ammalarsi. Le emozioni entrano nel gioco molto meno di quanto non si creda.

Si tratta piuttosto di ragionamento rispetto a ciò che la scienza oggi può offrire alle persone che hanno in mano una diagnosi genetica di rischio oncologico altissimo e quasi certo. Un metodo di agire illuministico che rende la genetica sempre più regina della medicina e della diagnosi, come già lo è nei protocolli terapeutici. Angelina e le donne come lei non tolgono il seno per paura, ma per atto consapevole, per una scelta di autotutela che abbia le maggiori cianche di avere successo.

Passato il tempo della testimonianza, preziosa per accendere luce sul problema, oggi è il momento delle Istituzioni, dei centri specialistici, dei medici e dei pazienti. Oggi è il tempo in cui si deve trovare il modo di campionare le famiglie che come quelle della Jolie sono candidabili al test del dna, di istruirle sui centri giusti cui rivolgersi, offrire loro adeguato counseling e assistere le persone nelle scelte che seguiranno alla diagnosi della mutazione genetica che non è solo BRCA1/2.

In un paese a macchia di leopardo, con il perdurare di flussi migratori dal Sud al Nord, con la disomogeneità imperante di codici di esenzione e tutele, il dovere dell’informazione è quello di trasformare il clamore di una confessione in un’occasione di ragionamento politico su casi di questo genere. Perché è una politica seria a fare una sanità eccellente ed efficiente.

Il sistema italiano può vantare di essere un paradigma e di avere mezzi e risorse d’avanguardia. Oggi basterebbe blindarlo dai tagli orizzontali e avviare una mappatura di costi, bisogni e regole piuttosto che abdicare alla centralità che lo Stato in nome del federalismo moderno e dell’idea, intollerabile, che ci siano regioni più ricche e quindi dotate di migliori ospedali e cure.

La politica della sanità ci dovrà spiegare perché da regione a regione ci siano differenze importanti di assistenza, follow up e tutela giuridica sulle persone a rischio genetico. Perché la sola Emilia Romagna abbia individuato un codice per i mutati: il D99. Perché le breast unit che l’Europa ci chiede non decollano e non siano distribuite equamente sul territorio nazionale. Perché lo screening mammografico, che non riguarda certo le sole donne mutate, sia assente in alcune regioni del Paese.

Il caso genetico, che certamente riguarda quote ristrette della popolazione, può rappresentare un efficace viatico per ampliare la riflessione sui sistemi, i numeri, la sostenibilità della prevenzione tout court e forse mettere in campo adesso questa operazione, che se potrebbe sembrare velleitaria al tempo della crisi, è invece doppiamente necessaria per ricordare l’imprescindibilità di alcuni diritti e la colpevole irrazionalità di alcune scellerate gestioni della “res pubblica”.

Quindi grazie alla Jolie per il coraggio di confessare una scelta impopolare e poco seduttiva - per lei in particolar modo, eroina sexy del cinema -  e  per ogni donna. Grazie per averci ricordato - cosa che la nostra stampa avrebbe dovuto ribadire meglio e di più - che qui in Italia, dove in Costituzione non è scritto il diritto alla felicità come negli Stati Uniti, è scritto invece che nessuno paga per guarire, per combattere una malattia o per prevenirla.

L’auspicio è questa vicenda sia anche l’occasione per riflettere sull’eccellenza del nostro modello di sanità e sulla necessità di parlare meglio e con più rigore in Italia della rivoluzione che la genetica sta portando nella scienza medica, piuttosto che occultandola per paura e prudenza. Una serie di scoperte che non vanno recepite con ingenuità o semplificazione, ma che, come tutti i traguardi della ricerca scientifica, possono aiutarci a vivere meglio e se possibile a soffrire meno. Spetta agli uomini e alle donne l’intelligenza di saperlo capire in tempo.

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