di Maria Rosaria De Falco

Il Parco Nazionale d' Abruzzo, Lazio e Molise, lo scorso 14 marzo, ha perso a Pescasseroli (L'Aquila) il quinto orso di quest'anno. Si tratta di un esemplare femmina, di età tra i 5 e i 6 anni. Ancora una volta, per la morte apparentemente ignota di un orso, si tentano diverse ipotesi: da quella dell'avvelenamento a quella di una grave malattia deducibile da sintomi presentati al momento del ritrovamento.

Il più antico parco d' Italia (coevo a quello del gran Paradiso), nell'ultimo periodo ha quanto mai raggiunto l’apice di una lunga crisi riguardante proprio il suo storico simbolo. Si tratta di una sottospecie dell’Orso Bruno, endemico dell’Italia centro-meridionale: l'Orso Bruno Marsicano, senonché  "Ursus Arctos Marsicanus”.

Poco più di quaranta anni fa, il numero di esemplari presenti nel parco raggiungeva i 60. Oggi, secondo le più recenti stime, gli esemplari sono solo 40. I casi di morte sono troppo frequenti per trattarsi di un esemplare così notevole, e le crescite si sono fermate. Tra il 2002 e il 2003 sono morti 27 individui; nel 2011 la riproduzione della specie ha toccato il minimo storico con appena tre cuccioli. Tra il 2007 e il 2013, degli esemplari della specie riservata, 3 sono morti per avvelenamento, 3 per investimento, 4 per aggressione con sostanze tossiche.

Si è raggiunto il rischio estinzione, che già da tempo permane e si aggrava a causa di fattori quali il bracconaggio - la vera piaga del parco - la frammentazione dell'habitat naturale e le occasioni di "incontro-scontro" con l'uomo, in particolare per alcuni esemplari "confidenti". Gli orsi "confidenti" sono quegli esemplari di orso che, perdendo la naturale diffidenza verso l'uomo e le zone più antropiche, si avvicinano a questi per la facilità con cui riescono a nutrirsi.

Infatti, quando in Primavera si risveglia dal suo letargo, s'imbatte nelle sempre più estese attività zootecniche come allevamenti e coltivazioni che col tempo hanno invaso il suo ambiente naturale riducendo le possibilità di caccia. Pertanto, il fenomeno altro non è che una replica all'uomo che tratta il territorio come una bestia da soma nel suo mancato approccio biocentrico.

Anche in aree di riserva integrale, create all’unico scopo di  tutelare la sopravvivenza dell'Orso Marsicano, vi è l'incompatibile presenza di intere mandrie di bovini allo stato semibrado, portatrici di numerose malattie. Secondo alcune voci raccolte, inoltre, si sarebbe reso poco conto ai cittadini e alle istituzioni circa i fondi stanziati nel 2007: si parla della modica cifra di 10.224.707 euro per ben tre progetti riguardanti l'orso marsicano; e quando, mesi fa è stata portata la questione orso in parlamento, ha avuto luogo un rimbalzo di colpe e responsabilità circa la salvaguardia dell’orso e i fondi stessi. L’Unione Europea ha avviato un’indagine sull’impiego dei fondi per la tutela dell’orso bruno marsicano.

Dopo un commissariamento durato dal 2005 ad oggi, solo lo scorso 18 marzo, il Parco ha finalmente visto un riferimento amministrativo: è cominciata l'era del presidente Carrara, sul quale diverse associazioni e comitati locali avevano espresso numerose perplessità, paventando l’occupazione dei vertici dei Parchi nazionali italiani da parte di amministratori locali invece che con la nomina di esperti in campo ambientale. Ai più radicali, invece, è apparso quantomeno singolare che il neopresidente, nel suo discorso d'insediamento, abbia ringraziato una serie di padrini politici di matrice renziana.

Ad inaugurare la presidenza di Carrara è stato il perfezionamento di un "protocollo d'intesa" nel quale le tre regioni interessate dal parco (Abruzzo, Lazio e Molise) sanciscono l'impegno congiunto nel mettere tempestivamente in pratica azioni concrete per la conservazione dell'orso, impegno del resto preso con l'Unione Europea.

Il corpo forestale dello Stato ha poi attivato nel PNALM il Nucleo operativo anti veleno che avrà il compito, d'ora in avanti, di individuare eventuali esche avvelenate lasciate dai bracconieri con il vigliacco obiettivo di uccidere esemplari di fauna selvatica.

Tuttavia, si spera che stavolta l'obiettivo non sia la conservazione bensì il rilancio, dell'Ursus Arctos Marsicanus e di altre specie, così come è avvenuto dal 1970 al 2000 sotto l'amministrazione Tassi. Chi il Parco l'ha visto sbocciare a appassire nella sua salvaguardia, lo ricorda fino al 2000 come un fiorire di progetti di rilancio della natura. Dalla seconda metà degli anni '70 al 2000, ad esempio, furono iniziati e conclusi con ammirevoli risultati, progetti come il rilancio dell'orso, del capriolo, della lince e di molte specie botaniche che oggi, costituiscono una delle tante peculiarità del Parco.

Progetti pilota dalla quale partenza fu reso possibile il ripristino dell'intera catena alimentare del Parco, dal piccolo erbivoro al grande carnivoro. Il progetto "Val di Rose", ad esempio, fece sì che la popolazione di camosci restasse integra per poi registrare una prospera crescita della specie fino ad oggi. Prova ne sia, tutt'ora, che il numero di turisti che frequentano Val di Rose è inferiore al numero di camosci che la popolano, rendendo quell'angolo di parco una delle più suggestive e selvatiche zone faunistiche presenti in Italia e, forse, in Europa.

Le politiche adottate in quel fiorente periodo, infatti, furono imitate da diversi Parchi di tutta Europa. Cosa di notevole importanza, poi, furono promossi e portati avanti progetti di riconciliazione uomo-ambiente concretizzatisi nell'accoglienza selettiva del turismo ecologista e ambientalista, in contrasto con gli afflussi di massa che, oggi, sembrano dominare.

La pericolosa ascesa verso il rischio estinzione dell’Orso Bruno Marsicano e di altre  specie, è iniziata proprio dal 2000 quando, per ignoti motivi, si è deciso di puntare sono alla conservazione piuttosto che al rilancio della biodiversità. Sebbene in loco siano adottate alcune politiche di sensibilizzazione e informazione, occorrerebbero conoscenza e rispetto della biodiversità di cui noi stessi siamo parte e che, purtroppo, oggi sembrano mancare.

La libertà della biodiversità, poi, sembra essere un concetto troppo lontano da molti turisti che, per la rarità degli esemplari del parco, tentano di avvicinarsi violando gli habitat naturali o avvicinandoli con esche alimentari. Lo scioglimento di questo groviglio di problematiche aggravate per anni, non sta in una banale politica di ampliamento del turismo di massa al fine di conoscere il parco e il suo patrimonio genetico, bensì in una conoscenza fine al rispetto dello stesso.

Le stesse politiche interne dovrebbero essere più complete e lungimiranti, permettendo sì la presenza e l’espansione di attività locali come quelle economiche o dell’allevamento ma tenendo conto dei limiti ammissibili dello sfruttamento di un territorio, senza rischiare una distruzione dell’identità naturalistica del territorio. Inoltre, una maggiore vigilanza più complessiva rispetto a quella attuale, diminuirebbe di gran lunga episodi di bracconaggio, investimenti automobilistici e aggressioni con sostanze tossiche.

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