di Tania Careddu

Vivono tra esperienze di studio all’estero, tirocini formativi e lavori durante i corsi. E dietro, l’ombra della famiglia. Così, secondo il XVI Rapporto sul profilo dei laureati di Almalaurea, si muovono gli studenti universitari italiani del 2013. Con ordine: la probabilità di accesso agli studi universitari è il risultato di un processo causale in cui l’origine sociale ha un ruolo determinante. E cioè, gli studenti di estrazione elevata sono favoriti per quanto riguarda la possibilità di proseguire gli studi oltre l’obbligo scolastico, fino al completamento degli studi universitari.

Di più: il contesto socio-economico di origine ne influenza anche le preferenze disciplinari. Esempio: i laureati provenienti da famiglie più istruite hanno scelto frequentemente le discipline di medicina, giurisprudenza e farmacia. Completamente indipendenti, invece, dalle condizioni socioeconomiche della famiglia sono le motivazioni che spronano all’iscrizione all’università. Fattori culturali e fattori professionalizzanti alla base della scelta del corso di laurea, entrambi determinanti per la metà degli studenti, ma i secondi sono stati decisivi per i laureati in ingegneria, statistica, insegnamento e professioni sanitarie.

Al contesto familiare di provenienza è legata anche l’eventualità di lavorare nel corso degli studi universitari: all’aumentare del titolo di studio dei genitori, infatti, diminuisce la percentuale di laureati che hanno svolto un’attività lavorativa. La quale, negli ultimi anni, complici forse le crescenti difficoltà occupazionali legate alla crisi in atto, è andata sensibilmente contraendosi.

A rimboccarsi le maniche durante gli studi sono soprattutto i maschi; gli studenti delle facoltà di scienze umane e sociali e quelli del centro-nord, e circa la metà dei lavoratori-studenti, ha svolto un’attività coerente con gli studi in corso. Come ovvio, poi, al crescere dell’impegno lavorativo si associa una diminuzione della frequentazione delle lezioni. E lo spettro delle origini socio-familiari si aggira anche sulla partecipazione o meno ai programmi di studio all’estero: il livello di istruzione dei genitori interviene come fattore selettivo nei confronti della probabilità di accesso allo studio all’estero.

Esperienza che è più fattibile per gli studenti degli atenei dell’Italia nord orientale, destinazione Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, mentre quella meridionale e insulare si mantiene un’area in cui le reti di accordo sulla mobilità per studio sono meno diffuse.

E il grado (elevato) di istruzione dei genitori influenza pure la possibilità di ottenere buoni risultati, insieme al genere (femminile), al diploma secondario liceale, ai buoni voti di diploma e alle forti motivazioni culturali nella scelta del corso di laurea. Fattore, quest’ultimo, che, insieme alla riuscita negli studi scolastici, al gruppo disciplinare e al lavoro durante i corsi universitari, determina la regolarità o meno negli studi.

Dal 2001 al 2013, i laureati in corso sono più che quadruplicati mentre quelli fuori corso sono diminuiti e il ritardo alla laurea, complice il fatto che l’elaborazione della prova finale nell’università post riforma richiede un impegno di tempo inferiore, si è più che dimezzato. Un netto miglioramento anche se eterogeneo: irregolari gli studenti del gruppo giuridico e molto in regola quelli dell’area medica.

Tirando le somme, tra i laureati del 2013 si rileva una generale soddisfazione per l’esperienza universitaria. Apprezzati il corso di studio e i rapporti con i docenti, contestati l’inadeguatezza delle aule e delle postazioni informatiche. Con la laurea in mano, non tutti i dottori hanno intenzione di mettersi subito alla ricerca di un impiego. Che preferirebbero trovare fra quattro aree: ricerca e sviluppo, organizzazione e pianificazione, risorse umane e selezione, marketing e comunicazione. Magari anche fuori dal Belpaese.

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