di Rosa Ana De Santis

E’ accaduto di fronte a 250 mila fedeli calabresi, durante la celebrazione eucaristica di sabato pomeriggio a Sibari. Papa Bergoglio ha scomunicato i mafiosi, definendo la ’ndrangheta “adorazione del male” e gli affiliati “non in comunione con Dio”.

Una condanna cosi diretta e frontale non era mai arrivata dal capo assoluto della Chiesa di Roma. Abituati ai preti martiri di frontiera, anche un bel po’ dimenticati dalle gerarchie, alle loro battaglie alla periferia del Vaticano suona strano sentire il Papa scagliarsi in modo cosi duro, scomodando il valore accademico e teologico di una scomunica.

Andare in Calabria, una regione assediata e paralizzata dalla malavita, e parlare di risveglio di coscienze e di impegno della Chiesa militante, significa fare qualcosa di più che predicare il bene. Innanzitutto arruolare i giovani ed educarli, tutelarli dalla tentazione dell’omertà.

Assomiglia a una canonizzazione lampo di uomini come don Pino Puglisi, prete antimafia, o di Peppino Impastato, giornalista martire. Assomiglia a un monito per quella contiguità tra potere politico e malavita che tanta storia di questo Paese ha contaminato, scomodando cronache e tribunali senza nemmeno troppa vergogna.

Il Papa ha incontrato in carcere i familiari del piccolo Cocò Campilongo, ucciso e bruciato dalle cosche a soli 3 anni con suo nonno. E sono tanti i nomi di questa strage di innocenti. Cosi tanti che quell’ammantata tradizione di codici di onore di cui si fregiavano questi signori, rimane una caricatura da cinema e null’altro.

La condanna del Pontefice parla chiaro non soltanto ai nomi celebri dei clan inseguiti dalle forze di polizia, ma ai tanti, anche pubblici funzionari dello Stato, contigui alle mafie e perseguiti per reati di stampo mafioso. La mafia è anche quella praticata sotto traccia, senza affiliazioni dirette, sotto coperture impeccabili.

Senza stragi o esecuzioni, ma con quotidiane ingiustizie, illegalità, trame di potere condivise con la malavita per profitto. E anche la compiaciuta omertà per affari e potere che ha derubato di giustizia e verità troppe vittime.

La famosa pace armata tra Stato e mafia che tanto scandalo ha portato nella storia di questa seconda Repubblica, sembra cadere sotto i colpi di questa condanna che non passa per i tribunali, ma unicamente per le vie della moralità e, per chi crede, per quella della fede cristiana.

La chiesa di Francesco, questa la speranza che rimane da queste parole e dagli impegni di questo Papa gesuita (non un caso) è quella che tornerà a dare la comunione ai separati e divorziati e la negherà, pubblicamente e per giustizia, a quelli come Totò Riina e ai suoi padrini.

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