di Tania Careddu

Dal 2011 è in calo. Nel 2015, solo il 42 per cento degli italiani che sanno far di conto ha letto almeno un libro in un anno. Troppo pochi. Tanto quanto il numero di libri che possiedono: solo il 64,4 per cento ne conta al massimo cento nella libreria domestica e una famiglia su dieci non ne ha nemmeno uno. Sebbene i lettori più assidui abbiano fra i quindici e i diciassette anni, la scuola non basta: l’ambiente famigliare è un fattore determinante nella misura in cui i genitori leggono libri.

Se ne leggono, in media, uno al mese, sono ‘lettori forti’, pari al 13,7 per cento; quando ne leggono non più di tre all’anno, cioè il 45,5 per cento, sono ‘deboli’. Più forti le femmine dei maschi, i laureati rispetto a chi possiede la licenza media. Più al Nord, con il Nord Ovest da record, e nei comuni centro di aree metropolitane versus i comuni con meno di duemila abitanti, che al Sud. Dove meno di una persona su tre ha letto almeno un libro; nelle Isole, invece, sono in aumento rispetto all’anno precedente.

Una crescita che fa aumentare anche la partecipazione culturale: fra i lettori, infatti, sono più elevate le quote di quelli interessati pure ad altre attività culturali. Che praticano sport e navigano in internet, frequentano musei, teatri e cinema; ascoltano concerti e sfogliano un quotidiano almeno una volta alla settimana. Raggiungendo livelli più alti di soddisfazione per il proprio tempo libero e per la propria situazione economica.

A proposito della quale, nel 2014, le famiglie del Belpaese hanno speso per i libri, poco più di tre milioni di euro, cioè undici euro al mese, utilizzando lo 0,4 per cento della loro spesa complessiva (sic). Dirigenti, imprenditori, liberi professionisti, direttivi, quadri e impiegati raggiungono livelli di lettura superiori alla media contro operai, casalinghe e disoccupati. A conferma che la minore disponibilità di reddito riduce anche le opportunità culturali.

Proprio le disponibilità economiche sono le caratteristiche costitutive dei non lettori, che rappresentano la metà della popolazione in ben quattordici regioni italiane su venti, con un primato negativo per la Campania e la Puglia, le quali appaiono persistenti negli ultimi quindici anni e confermano fattori di disuguaglianza e di svantaggi di natura quasi strutturale. Per il superamento dei quali è certamente fondamentale la biblioteca, se non fosse però che nello Stivale, una su due di queste istituzioni chiave per la promozione della lettura (e quindi della cultura per tutti) ha sede nelle regioni settentrionali.

Da precisare che la non lettura coesiste con altre pervasive forme di esclusione e genera atteggiamenti pessimistici. Che non possono non cogliere anche chi legge il report dell’Istat “La lettura in Italia”, laddove c’è scritto che il Belpaese si trova in netto svantaggio rispetto alla media Ocse: ventunesimo posto per i giovani fra i sedici e i ventiquattro anni e ventesimo per la fascia d’età che va dai cinquantacinque ai sessantacinque anni.

Ultimi in classifica: i maschi, le persone con istruzione di livello universitario, i lavoratori qualificati e non e persino i madrelingua italiani. Parafrasando il titolo di un libro di Frank McCourt, ‘Che Paese, l’Italia’.

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