di Alessandro Iacuelli

E' come nei peggiori incubi. In una Regione ambientalmente disastrata come la Campania, in una grande città come Napoli, la terza d'Italia per numero di abitanti, succede che un appalto pubblico, per smaltire l'amianto gettato qua e là in giro in decenni di incuria, venga affidato ad un soggetto già condannato in primo e in secondo grado di giudizio a sette anni di reclusione per traffico illecito di rifiuti speciali, peraltro con l'aggravante del disastro ambientale. Il soggetto inquinatore diventa così soggetto bonificatore, pagato con soldi pubblici.

Sono passati esattamente dieci anni da quando, proprio qui su Altrenotizie, scrivemmo della ditta Pellini di Acerra, all'indomani dell'arresto dei tre gestori, i fratelli Giovanni, Salvatore e Cuono Pellini: "Dal Veneto, arrivavano ad Acerra fanghi tossici e rifiuti di ogni tipo, soprattutto chimici, che la ditta Pellini stoccava e rivendeva come fertilizzanti che finivano per fertilizzare i terreni agricoli.

Il tutto, secondo le accuse della Procura, con la complicità" di un soggetto all'epoca in servizio presso i Carabinieri di Acerra; infatti il Salvatore Pellini era appartentente all'Arma con il grado di maresciallo e, secondo le sentenze di primo e secondo grado, ha sfruttato la sua posizione per favorire l'attività criminale dell'azienda di famiglia.

Il 29 gennaio 2015, la IV sezione penale di Corte d’Appello di Napoli ha condannato a sette anni di reclusione i tre fratelli, aumentando le pene rispetto alla sentenza di primo grado, per il reato di disastro ambientale aggravato. Si chiamano ecomafie, anche se l'aggravante mafiosa non è stata riconosciuta nella sentenza.

Nel frattempo i tre fratelli avevano già dato vita ad una nuova azienda, la ATR, pronta a “trattare” circa 400 mila tonnellate annue di rifiuti tossici e industriali (la maggior parte dei quali provenienti da fuori regione) in località Pantano, dove già sorgono l’inceneritore A2A, la ex Montefibre e la centrale da combustione a biomasse Friel.

Verso la fine del 2014, la Regione Campania aveva temporaneamente "sospeso" il progetto dell’azienda di smaltimento rifiuti riconducibile sempre ai Pellini è riconducibile, nel frattempo la sospensione è terminata, e l'ATR aveva iniziato a lavorare in Basilicata, infatti il primo ottobre 2006 il direttore dell’Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente di Basilicata, Aldo Schiassi, assegna mediante cottimo fiduciario l’affidamento definitivo del servizio di manutenzione della rete piezometrica nel sito d’interesse nazionale della Val Basento alla ditta ATR Srl di Acerra.

Veniamo ai giorni nostri. Il comune di Napoli indice una gara da 204.750 euro per la rimozione su chiamata e per lo smaltimento di eternit e amianto abbandonato fraudolentemente sul territorio comunale, occorre quindi un'azienda specializzata nella rimozione e nello smaltimento corretto del pericolosissimo materiale. ATR ha sconfitto la concorrenza, una sola altra impresa aveva risposto alla richiesta di manifestazione di interesse, in virtù di un ribasso del 44,9%. Lavorerà, dunque, per 112.776 euro.

Giovanni Pellini, uno dei tre fratelli, è socio di ATR insieme ai parenti Ilenia e Domenico Pellini, a Maddalena Crispo ed a Luca Piscitelli. Posseggono un quinto delle quote ciascuno. Amministratore unico e rappresentante legale, un nome nuovo, incensurato, non con le mani sporche di traffici e di ecomafie; direttore tecnico un altro nome nuovo e "pulito" preso da fuori regione.

Per carità, in Italia i gradi di giudizio sono tre, e nessuno vuole imbastire un processo mediatico a Giovanni Pellini, tuttavia da parte del comune di Napoli sarebbe forse stata opportuna una maggiore cautela nell'affidare un appalto su una materia delicata, prima di dare soldi pubblici ai privati. Così non è stato. La commissione aggiudicatrice? Tutta interna al comune di Napoli: i direttori del settore Ambiente e del settore Igiene e Decoro ed un amministrativo.

Il verbale della gara, fa rabbrividire, e sprofondare nell'incubo: ATR è stata premiata dalla commissione unicamente in virtù del maggior ribasso e dopo avere esaminato "la regolarità della documentazione presentata, contenente l’autodichiarazione sul possesso dei requisiti previsti dal codice dei contratti, nonché quella relativa all’assenza di cause ostative ed alla sottomissione al protocollo di legalità". Tutto in regola, per la commissione, nonostante la presenza tra i soci di un condannato in Appello per traffico di rifiuti, con l’aggravante del disastro ambientale.

L'attuale vicesindaco di Napoli, Raffaele Del Giudice, interpellato in merito da un giornalista del Corriere, ha dichiarato: "Dalle verifiche che ho effettuato dopo la segnalazione del Corriere del Mezzogiorno, non sono emersi elementi formali e legali per non assegnare il lavoro ad Atr. Sono sempre più convinto della necessità di adeguare gli strumenti di monitoraggio delle imprese e di creare aziende pubbliche in grado di effettuare interventi di risanamento ambientale delicati ed a rischio".

Assolutamente giusto nello spirito, ma “in nome del popolo inquinato” - e quello campano lo è - è certamente triste che vengano fatte verifiche solo documentali e si diano appalti a chi ha inquinato già abbastanza; che possano costoro aggiudicarsi appalti per pulire e poi portare (dove?) i materiali rimossi. Verranno smaltiti da un privato che seguirà tutte le regole e le norme di sicurezza, anche in presenza di una condanna in appello per aver fatto l'esatto opposto?

Tirando le somme, basta un'autodichiarazione sul possesso dei requisiti richiesti dal codice dei contratti, con buona pace per ostative prefettizie, casellari giudiziali, eccetera, basta sottoscrivere un protocollo di legalità, un patto. Sperando che ai patti facciano seguito i fatti, altrimenti sarà una storia già vista: gli inquinatori che mettono le mani sui soldi per bonificare ciò che è stato inquinato.

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