di Tania Careddu

Che provengano dalla rete fognaria, che siano urbani dispersi o non trattati correttamente, abbandonati in acqua o in spiaggia, oppure residui industriali non smaltiti direttamente, che rimangano in superficie (il 15 per cento) o affondino negli abissi (il 70 per cento), i rifiuti marini hanno conseguenze irreparabili.

In quarantasette spiagge italiane monitorate dall’indagine Beach litter 2016, realizzata da Legambiente con il contributo di Novamont, sono stati raccolti trentatremila e cinquecento rifiuti. Settecentoquattordici ogni cento metri. Il 76 per cento di questi è di plastica, per un totale di circa venticinquemila pezzi: tappi, duemila e seicento; stoviglie usa e getta, suppergiù mille; contenitori di detersivi, reti da pesca e quelle per la raccolta dei mitili, più o meno novecento unità.

Duemila e seicentoquarantadue mozziconi di sigarette, una quantità pari a centotrentadue pacchetti, il 3 per cento in più rispetto al 2015, carta e metallo. Vetro, ceramica e calcinacci. Legno, rifiuti tessili e di gomma. Si contano quattromila cotton fioc, blister di medicinali, assorbenti e deodoranti per wc, rifiuti derivanti dalla mancata depurazione che arrivano sulle spiagge attraverso fiumi, canali e scarichi.

Piccoli, l’80 per cento di dimensioni inferiori ai venticinque centimetri, ma affatto innocui, i rifiuti generano un inquinamento irreversibile e incalcolabile. La plastica, per esempio, per effetto di onde, correnti, irradiazioni UV, si frammenta in milioni di microparticelle che, disperdendosi nell’ecosistema marino e costiero, vengono ingerite dalla fauna del mare, contaminando l’intera catena alimentare.

E così, a Fiumicino prevale la presenza di rifiuti derivanti dalla scarsa depurazione dei reflui urbani e, caso emblematico, di quelli trasportati dal Tevere; a Palermo, il 68 per cento è costituito dalla plastica ma una corposa percentuale è rappresentata da materiale da costruzione; a Trieste e a Taranto, i rifiuti sono riconducibili alla pesca.

Non sono solo un danno inestimabile per l’ecosistema ma hanno pure un impatto su tutti i settori economici. L’Unione europea stima in più di quattrocentoundici milioni di euro il costo per la pulizia di tutte le spiagge del continente e in oltre sessantuno milioni euro l’anno, l’effetto sul settore della pesca. Per non citare i danni meccanici alle imbarcazioni e alle attrezzature da pesca e quelli sul turismo provocati dal decremento del valore estetico e dell’uso pubblico dell’ambiente.

E siccome “l’ambiente marino costituisce un patrimonio prezioso che deve essere protetto, salvaguardato e, ove possibile, ripristinato, al fine ultimo di mantenere la biodiversità, preservare la diversità e la vitalità di mari e oceani che siano puliti, sani e produttivi”, non è possibile rimanere con le mani in mano.

Se, per esempio, nei comuni italiani si aumentasse il riciclaggio dei rifiuti e del packaging oltreché la riduzione, fino all’eliminazione, delle discariche, si ridurrebbero del 18,41 per cento i rifiuti marini e si ricaverebbero oltre ottantasette milioni di euro l’anno. Per non annegare, definitivamente, in un mare di guai.

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