di Tania Careddu

L’inganno è rappresentato dalla prospettiva di condizioni di lavoro o di esercizio di attività del tutto diverse da quelle in cui si troveranno poi, realmente, a essere coinvolte, le vittime di tratta (migranti) e quasi sempre si accompagna alla privazione dei loro documenti identificativi. Oltre ai più noti casi di sfruttamento, ai quali si aggiunge quello multiplo - donne costrette a prostituirsi e a spacciare o uomini obbligati a vendere merce al dettaglio e a elemosinare - appaiono, negli ultimi anni, nuove forme di tratta finalizzate all’accattonaggio forzato e alle economie criminali.

Adulti e bambini costretti a spacciare sostanze stupefacenti, borseggiare, rubare nelle case, vendere prodotti, per lo più contraffatti, per strada, verosimilmente a favorire, a loro volta, attività di immigrazione clandestina nonché permettere l’ottenimento di benefici economici collegati alle politiche di welfare. Talvolta con una sorta di continnuum tra le varie attività criminali forzate svolte, il fenomeno è multiforme e dai confini non facilmente distinguibili.

Sono cambiate anche le modalità (mimetiche) con cui viene gestito l’asservimento delle vittime: oltre all’ambiguità che, sempre più spesso, avvolge l’operato dei soggetti che, muovendosi al confine tra solidarietà e profitto personale, offrono accoglienza al momento dell’arrivo, per la complessità degli scenari (dell’immigrazione) e degli ambiti di sfruttamento, l’approccio è sempre più persuasivo e sempre meno esplicitamente violento.

A gestire la tratta e lo sfruttamento ad altre attività illecite sono, sempre più di frequente, gruppi criminali fortemente radicati nei paesi di destinazione dei migranti, con molti collegamenti transnazionali e spiccate capacità di abbinare la tratta ad altre faccende illecite e anche lecite, vedi il riciclaggio di denaro sporco attraverso attività commerciali regolari.

E le vittime, sempre e da sempre, costituiscono il punto debole del circuito criminale. Generalmente giovani stranieri non organici alle organizzazioni criminali, sono a maggior rischio di sfruttamento perché alcuni fattori - vedi il caso di giovani portatori di handicap provenienti dalla Bulgaria o dalla Romania oppure di giovani nigeriani che hanno contratto un debito (per arrivare in Italia) con trafficanti italiani - inficiano con la loro capacità di autodeterminazione.

L’indigenza, le difficili situazioni familiari, le scarse competenze linguistiche, la bassa scolarizzazione, la mancanza di esperienza professionale, l’attitudine alla vita in strada, oltre alle enormi difficoltà di ingresso legale nel Belpaese, sono tutti elementi che innalzano il rischio di finire in situazioni di coinvolgimento in attività illegali. Senza averne la minima percezione e nemmeno dello sfruttamento subìto. Che diventa esponenziale perché fa affidamento sull’incapacità e l’impossibilità di reagire.

Secondo il rapporto Minori sfruttati e vittime di tratta tra vulnerabilità e illegalità, redatto in conclusione di un progetto europeo, il 54 per cento delle vittime è stato reclutato con false promesse, il 41 per cento ha ricevuto un’offerta di lavoro, il 3 per cento è stato venduto - la cifra pattuita viene stabilita sulla base di canoni quali la bellezza o la capacità di commettere furti - e l’1 per cento è stato rapito.

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