di Tania Careddu

Una forza sociale ed economica poderosa ma dalle potenzialità ancora non del tutto espresse. Determinanti per la crescita e lo sviluppo dell’Italia, le mamme di oggi, vivono, però, in un contesto penalizzante. Risorse dinamiche e predisposte al cambiamento - che deve essere culturale prima ancora che concreto - sono il bersaglio principale dei problemi strutturali del Belpaese.

Oltre alle macro questioni quali il debito pubblico, la corruzione, l’inadeguatezza infrastrutturale e l’inefficienza della Pubblica Amministrazione, a pesare sulla maternità è il modello culturale, patriarcale, secondo il quale i figli sono di proprietà esclusiva delle madri, sbilanciando in modo iniquo il loro ruolo a favore di un’importante assunzione di responsabilità familiare. Che, inevitabilmente, comprime i loro spazi per una realizzazione professionale e personale.

La minore occupazione genera una condizione di povertà insostenibile nelle famiglie con figli in cui il lavoro di entrambi i genitori è imprescindibile per una vita dignitosa. E l’impatto di questo circolo vizioso sulle scelte (opportunità) lavorative fuori dalle mura domestiche, oltre a essere alla base di spiacevoli stereotipi discriminatori, fa passare in cavalleria il valore economico del lavoro prodotto dalle mamme a beneficio delle loro famiglie.

Caratterizzato dalla gratuità, è l’uso del tempo, il denaro con cui valutarne la portata: in un giorno settimanale medio, le madri impiegano cinque ore per il lavoro famigliare contro un’ora e ventidue minuti dei padri. Un’asimmetria che si restringe nel caso in cui entrambi i genitori siano occupati e in quello nel quale la donna abbia un titolo di studio elevato, a conferma del fatto che il livello di istruzione non solo determina il loro empowerment sul mercato del lavoro ma anche il potere negoziale all’interno delle dinamiche famigliari, che, a ben vedere, non possono essere scisse da quelle occupazionali.

Valide per tutta l’occupazione femminile, quelle che coinvolgono le mamme hanno accenti più critici e peggiorativi riconducibili ai più frequenti compromessi e rinunce connessi al bisogno di conciliazione e di cura dei figli piccoli: nel 2015, secondo quanto riporta il dossier “Le equilibriste. La maternità tra ostacoli e visioni di futuro”, redatto da Save the children, nella fascia d’età di donne fra i venticinque e i quarantanove anni - quella in cui si stima la maggiore concentrazione di madri di minori - si è registrato un tasso di occupazione pari al 57,9 per cento (versus il 77,9 per cento per i padri) che tende a essere sempre più basso all’aumentare del numero di figli e al diminuire del grado di istruzione.

Fino all’esclusione dal mercato del lavoro delle tre milioni e quattrocento mila mamme italiane che, nel range considerato, nel 42 per cento dei casi sono disoccupate per il condizionamento delle responsabilità famigliari. Ovviabile con il buon funzionamento degli strumenti di conciliazione, tipo i congedi lunghi che le solleverebbero dalla gestione di un ritorno immediato al lavoro che, il più delle volte, si traduce in un abbandono tout court, e i congedi parentali, i quali però vengono usufruiti dai padri solo per il 10 per cento del periodo totale previsto.

Oltre ai servizi per l’infanzia, con l’importanza delle mense scolastiche, il welfare aziendale che supplisce alle carenze di quello pubblico, negli ultimi anni hanno cominciato a diffondersi le esperienze di smart working, una modalità lavorativa ‘agile e intelligente’ che permette una maggiore autonomia e flessibilità, grazie alle nuove tecnologie, nella scelta di tempi e spazi per il proprio lavoro.

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