Sebbene in sensibile diminuzione - vuoi per i mutamenti del quadro legislativo, vuoi per il diverso ruolo dei media nonché per l’emergere di una nuova coscienza femminile - le donne che hanno subìto molestie o ricatti sessuali sul luogo di lavoro sono ancora troppe. Un milione e quattrocentomila.

 

Tentativi da parte di colleghi o superiori sul posto di lavoro di toccare, accarezzare o baciarle contro la loro volontà hanno coinvolto il 9 per cento circa delle lavoratrici, soprattutto che abitano in città delle aree metropolitane, principalmente del Centro Italia, dove Toscana e Lazio registrano percentuali al di sopra della media italiana, e nel Nord Est, con in testa l’Emilia Romagna.

 

 

Alle donne laureate e giovani, l’incombenza di dover sopportare una qualche forma di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo oppure per ottenere progressioni nella carriera. Ripetute richieste di prestazioni sessuali o di disponibilità sessuale dallo stesso autore, quotidianamente o più volte alla settimana, e nel 61 per cento dei casi da più di dieci anni.

 

E la reazione delle vittime, da dieci anni a questa parte, è la stessa: stando al report Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro, redatto dall’Istat, solo il 16 per cento circa racconta la propria esperienza e quasi nessuna ha esposto denuncia alle Forze dell’ordine. Un po’ per mancanza di fiducia verso queste ultime, un po’ per la scarsa gravità percepita e un poco, pure, per la paura del giudizio, in genere, le donne coinvolte se la cavano da sole, talvolta rinunciando direttamente al posto di lavoro. Quando l’esito del ricatto non è stato il licenziamento o la messa in cassa integrazione. Ma, con la Legge di Bilancio per il 2018, i datori di lavoro ricattatori hanno vita breve perché questa amplia, sul piano civilistico, la tutela delle vittime di molestie o molestie sessuali.

 

Introducendo due commi nel Codice per le pari opportunità tra uomo e donna del 2006 – che forniscono una puntuale definizione di molestie sessuali - precisa che la lavoratrice (o il lavoratore) che dovesse agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestie non può essere sanzionata, demansionata, licenziata, trasferita o sottoposta ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, in ragione della denuncia stessa.

 

Dove per molestie sessuali si intendono tutti quei “comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice (o di una lavoratore) e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo”.

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