Entro il 2050, 5,7 milioni di lavoratori a rischio povertà. Parola di Confcooperative che nel focus “Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?”, avverte che “se questa tendenza non dovesse essere invertita”, precari e neet andranno ad alimentare le file dei nuovi poveri. Quale tendenza? Tremilioni di neet e 2,7 milioni di lavoratori impiegati nel working poor o impegnati in ‘lavori gabbia’ (cioè confinati in attività non qualificate dalle quali è difficile uscire e che obbligano a una bassa intensità lavorativa, pregiudicandone le aspettative di reddito e di crescita professionale) sono i protagonisti di uno scenario sul futuro previdenziale e sulla tenuta sociale dell’Italia che non promette nulla di buono.

 

Un pericoloso mix di fattori - ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, discontinuità contributiva e debole dinamica retributiva - è la base per le condizioni di nuove povertà. “Queste condizioni - spiega il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini - hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata”. Perché lavoro e povertà sono due emergenze che turbano il patto intergenerazionale che, invece, dovrebbe garantire ai figli le stesse opportunità dei padri. Altrimenti, continua Gardini, “rischiamo di perdere un’intera generazione”.

 

Che è stretta nella maglie di uno “sfrangia mento” del lavoro rispetto al passato: bassa qualità e bassa intensità stanno determinando uno slittamento verso il basso delle remunerazioni, definendo, in maniera sempre più marcata, la distanza tra i destini dei lavoratori e la sostenibilità dei sistemi di welfare.

 

Così, per centosettantamila giovani sottoccupati, seicentocinquantaseimila con contratto part time involontario e quattrocentoquindicimila impegnati in attività non qualificate, lavorare non basta più a salvarli dalla discriminazione con le generazioni precedenti: “Già oggi - specifica Gardini - il confronto fra la pensione di un padre e quella prevedibile del proprio figlio segnala una decisa divaricazione del 14,6 per cento”. Se, poi, i figli vivono al Sud, la differenza è ancora più netta: anche solo limitandosi a osservare il fenomeno dei neet, nelle sei regioni meridionali se ne contano oltre la metà, 1,1 milioni, di cui settecentomila concentrati in Sicilia e Campania.

 

Secondo un sondaggio dell’istituto Ixè, Giovani italiani (e italiane) alla ricerca dell’indipendenza, il confronto tra la percezione della propria condizione e quella della famiglia di origine (boomers) conferma lo stato di difficoltà vissuto dai millennials italiani (per intenderci, i giovani nati fra gli Ottanta e i primi del nuovo millennio).

 

Tanto diversi che, secondo il Rapporto COOP 2017, “nella concezione dei millennials, la casa si spoglia del suo contenuto di bene e cassaforte della famiglia per diventare servizio e, secondo alcune proiezioni, entro i prossimi dieci anni, un terzo di coloro che oggi sono acquirenti andrà a riversarsi sulla locazione”. Primi a invertire la tendenza, i millennials sono più poveri (e con meno aspettative sul futuro) del 17 per cento rispetto agli standard delle generazioni precedenti, perdendo quasi un quinto della ricchezza reale.

 

Anche se, stando ai risultati di una ricerca realizzata da State Global Advisors, in collaborazione con Prometeia, La rievoluzione delle pensioni: rapporto sullo stato dell’arte delle pensioni italiane, il 75 per cento di loro dichiara di avere nozioni limitate o inesistenti sulle pensioni. In fondo, come dare loro torto, se la questione li riguarda appena?

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