Al di là del confine, sanno di trovare parenti che li aspettano, reti di connazionali che possono sostenerli o condizioni socio-economiche tali da garantire maggiori opportunità di lavoro e di effettiva integrazione. Ma non ci possono arrivare.

 

Perché, chiusa la frontiera italo-francese di Ventimiglia e aperto un campo di transito voluto dalla Prefettura (e, contestualmente, creatosi un insediamento informale sul greto del fiume Roja), a tre anni di distanza, la situazione resta molto delicata per le, ormai palesi, violazioni della normativa sull’asilo da parte delle autorità locali italiane.

 

Accampati sotto un cavalcavia per poter restare nei pressi della stazione ferroviaria e poter più facilmente entrare in contatto con chi può aiutarli ad attraversare il confine, i migranti di Ventimiglia sono stati sgomberati dall’area sotto il viadotto.

 

 

Con l’effetto di averli dispersi sul territorio, in città o nei luoghi limitrofi. Sono soprattutto minori non accompagnati, che ormai rappresentano il 25 per cento di tutti i migranti in transito dalla cittadina ligure. I giovani migranti, spesso in fuga dalle comunità di accoglienza in cui erano stati inseriti prima di collocarsi nell’insediamento informale e dove non ricevevano servizi adeguati alla loro condizione di maggiore vulnerabilità, ora, quando tentano di attraversare il confine, subiscono intollerabili abusi dalla polizia francese.

 

“…Oltre a respingerli illegalmente, senza mettere in atto nessuna delle garanzie pur previste dalla legge, li scherniscono, li maltrattano…a molti hanno tagliato la suola delle scarpe, prima di rimandarli in Italia”, racconta la responsabile del programma Open Europe a Ventimiglia di Oxfam, Chiara Romagno. Abusi a cui si aggiungono forme di detenzione arbitraria e nessun intervento di presa in carico per i ragazzi respinti, che non possono far altro che aspettare la prossima occasione per provare a passare la frontiera.

 

“Lo dicevamo dei migranti incontrati in Sicilia, lo ripetiamo qui: è impossibile fermarli. La loro determinazione a raggiungere i familiari presenti in altri paesi, o semplicemente la mancanza di alternative, li fa provare e riprovare fino a che non ci riescono”, precisa Romagno.

 

“Di fronte alla prospettiva di aspettare anche più di un anno, senza certezza, preferiscono partire da soli”, racconta, nel dossier Se questa è Europa, redatto da Oxfam, Laura Martinelli di Asgi. Quasi nessun minore è informato della possibilità del diritto al ricongiungimento famigliare e, pure se lo fosse, i tempi sono lunghissimi e le procedure farraginose.

 

“Ho provato a passare già dieci volte. Una volta a piedi, da solo, ma mi sono perso. Le altre nove volte in treno. La polizia francese sale sul treno, ti afferra e ti fa scendere. Mi hanno dato dieci fogli (refus d’entrée) ma io riprovo ancora”, dice nel dossier un sedicenne eritreo. In realtà, i minori soli non potrebbero essere respinti e il Regolamento di Dublino non potrebbe essere applicato e, invece, i minorenni che attraversano la frontiera per richiedere asilo in Francia non vengono mai messi nelle condizioni di poter esercitare questo diritto.

 

Anzi, nel documento (refus d’entrèe) con cui i minori vengono rispediti in Italia e che gli agenti compilano in loro vece, viene indicata l’opzione ‘voglio ripartire il più rapidamente possibile’ come se l’essere respinto istantaneamente fosse una scelta del minore. Il tutto in regime di totale impunità. E a tre anni dalla chiusura del confine, la Francia sembra non avere alcuna intenzione di rinunciare ai controlli alle frontiere sebbene le politiche di deterrenza messe in atto a diversi livelli siano servite solo a rendere più disumane le condizioni di vita dei migranti bloccati.

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