La macchina sanzionatoria, che ingolfa uffici amministrativi e di polizia, e la legislazione proibizionista con le sue conseguenze penali, sono le basi dell’immobilismo politico sul tema delle droghe. Visto che il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana quando si parla di droga è l’impianto repressivo che ispira l’intero Testo Unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli, vecchio di vent’otto anni.

 

Senza le leggi repressive e carcerarie non si avrebbe il sovraffollamento nelle carceri: quasi il 30 per cento dei detenuti entra in carcere per un articolo di legge e un quarto della popolazione detenuta è tossicodipendente. E la repressione si abbatte sui consumatori tanto che, rispetto al 2015, c’è un più 40 per cento di segnalazioni per consumo di sostanze.

 

 

Anche perché, forse, il vecchio sistema terapeutico non funziona più: nuovi stili di uso a differenti livelli di rischio e di danno, necessitano di una nuova articolazione dei servizi, altrimenti incapaci di rilevare i cambiamenti delle modalità di consumo. In effetti, la ricerca sulle droghe è ancora ‘farmacocentrica’ perché si parte dal presupposto (erroneo) che le difficoltà umane ad affrontare certe situazioni sono dovute ad alterazioni neuronali e manca, piuttosto, un approccio psicosociale che affronti le cause del consumo e i contesti.

 

Penalizzato, oltre che da una cultura di massa che annulla l’esistenza della malattia mentale, anche da una drammatica riduzione del personale che non riesce a intercettare un’area intermedia di soggetti che non si rivolge ai servizi. Manca una reale integrazione tra i servizi e la comunità, trascurando così le caratteristiche di vulnerabilità individuali e i fattori di contesto.

 

“Nelle politiche in materia di droga, di fatto, si incrociano due aspetti: da una parte, una domanda di sicurezza sociale, spesso centrata su motivazioni securitarie e ‘contenitive’ del fenomeno e non di rado enfatizzato e manipolato da allarmi sociali e dall’altra, l’esigenza di garantire la salute e il benessere delle persone che consumano sostanze”, si legge nel Nono libro bianco sulle droghe, redatto da Fuoriluogo.

 

Ma è fondamentale per le politiche che devono intervenire sulle droghe, la valutazione circa il rispetto dei diritti umani, che potrebbe essere violato a causa dello squilibrio a favore dell’approccio legale penale a scapito di quello di inclusione sociale e di protezione della salute e di eliminazione dello stigma.

 

Di fronte a tutto questo, la politica italiana è assente da molto tempo e nell’ultima Relazione finale al Parlamento neppure risultava attivata, si legge nel Rapporto, la rilevazione degli interventi e quanto si sa è merito delle ONG. Le Relazioni, negli anni, sono cambiate nella mole ma manca sempre la voce di un rappresentante del governo che la presenti al Parlamento e che se ne assuma la responsabilità politica.

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