Guardando i dati del XXVII Rapporto Immigrazione, redatto da Caritas e Migrantes, il recente decreto del governo sul tema non avrebbe ragione d’esistere. Perché, secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), riportate nel dossier, nel 2015 la quota dei migranti irregolari sul totale dei flussi migratori ammonta al massimo al 15 per cento.

 

E anche perché, in Europa, l’Italia è al primo posto per numero di acquisizioni di cittadinanza, con oltre duecentomila nuovi cittadini, soprattutto donne e, principalmente nelle regioni del Nord, e che diventano italiani soprattutto con la residenza e non con la modalità del matrimonio che rimane una modalità residuale. Poi perché l’Italia si colloca la quinto posto in Europa e all’undicesimo nel mondo per numero di immigrati residenti regolarmente nel territorio. Infine, perché, secondo l’UHCR, nel 2018 è sbarcato nel Belpaese l’80 per cento in meno di migranti rispetto al 2017.

 

 

Non solo. Sono aumentati, dello 0,9 per cento rispetto al 2016, gli stranieri che lavorano diventando oltre due milioni e quattrocentomila contro gli inoccupati che ammontano a poco più di un milione. E, comunque, sebbene il 34 per cento dei servizi telegiornalistici è dedicato a questioni che mettono in relazione immigrazione e sicurezza, utilizzando toni emergenziali, i migranti in Italia rappresentano solo l’8,5 per cento sul totale della popolazione.

 

In rapporto a quella carceraria, poi, l’incidenza della componente estera sul dato complessivo è ferma, dal 2017, al 34 per cento. È solo più giovane di quella italiana e, a parità di reato, entra più facilmente in carcere beneficiando in maniera difforme delle misure alternative per l’espiazione della pena. E, purtroppo, sebbene le detenute straniere siano presenti in numero inferiore agli uomini a preoccupare è l’aumento dei bambini al seguito: a oggi, i bambini stranieri in carcere sono trenta con trentatré detenute.

 

Invece, dei minori presi in carico dagli Uffici di servizio sociale per i minorenni, gli stranieri rappresentano il 26 per cento dei circa ventimila giovani. “Realizzare buone pratiche di accoglienza diventa il primo e imprescindibile passo per difendere e promuovere la salute (anche mentale) di ogni migrante”, si legge nel Rapporto.

 

Dal punto di vista sanitario, infatti, il loro profilo si va sempre più caratterizzando per condizioni di non sanità dovute ad accoglienza inadeguata, fragilità sociale e scarsa accessibilità ai servizi. Alla mancanza della loro salute concorrono condizioni di vita del paese di arrivo, oltre a quelle vissute nel percorso migratorio mentre si registra – a ridimensionare timori soggettivi – la diminuzione sempre più costante di casi di malattie infettive, quali TBC e AIDS.

 

La vera emergenza, dice il Rapporto, è “culturale”, mancando fra chi (non) accoglie il “necessario approfondimento (…) e una nuova grammatica della comunicazione che sia aderente ai fatti e rispettosa delle persone”.

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