Più un problema che un’opportunità. Più una minaccia che una risorsa. Questo è l’immigrazione per la maggior parte degli italiani. Per diversi motivi. Primo, perché l’opinione pubblica, abbagliata da un’invasione, è diventata miope e perciò l’immigrazione assume vaghi contorni che, complice la decennale campagna di alcune formazioni politiche, coincide con la clandestinità.

 

Un buon grado di conoscenza del fenomeno (e delle sue dimensioni) sarebbe salutare per la sua percezione reale. Affidata, invece, alla sensazione che gli immigrati rappresentino un’insidia sia economica, in grado di scatenare una (spietata) competitività per risorse di welfare già scarse, sia nei termini della sicurezza. Ma non solo quella relativa al tasso di criminalità che contraddistinguerebbe gli immigrati: a incidere, piuttosto, sul diffuso senso di insicurezza degli italiani è la scarsa fiducia nelle istituzioni.

 

 

Convinta di vivere in un paese corrotto dalle fondamenta, l’opinione pubblica del Belpaese percepisce gli immigrati come un problema che lo Stato non è in grado di gestire (se non ricorrendo a sentimenti anti-immigrazione che, ormai, sono diventati parte del suo programma politico). A spingere in questa direzione ha contribuito la propaganda elettorale del 2018 - che aveva assunto posizioni di forte allarme nei confronti di un’immigrazione ingestibile - e il suo esito, misurabile in un’estremizzazione dei gruppi ideologici: a sinistra, l’immigrazione è percepita come una minaccia nel 35 per cento dei casi, a destra nell’80 per cento.

 

Oltre la variabile ideologica, stando a quanto riporta la ricerca Immigrazione. Il fattore sfiducia degli italiani, condotta da Caritas e dalla rivista Il Regno, a influenzare le percezioni è il grado di istruzione. Sebbene il peso ideologico e politico del 2018 sia cresciuto rispetto a quello che aveva nel 2001, gli effetti dell’istruzione rimangono visibili più che mai: si contano elettori di sinistra - con un modesto grado di istruzione - che su questo tema la pensano non molto diversamente da quelli di destra, fra i quali, però, è più diffusa la tendenza a immaginare la nazione in senso etno-culturale.

 

Un trend che, ultimamente, non ha risparmiato nemmeno i simpatizzanti della sinistra: pure tra loro, infatti, ce ne sono non pochi vittime di pregiudizi etnici e che attribuiscono all’identità nazionale un significato spiccatamente di questo tipo, che spiegherebbe la propensione a esprimere giudizi stereotipati sugli immigrati.

 

Tanto che, anche se questi dimostrano di volersi integrare, gli italiani non sono disposti ad accoglierli perché immaginano (con poca fantasia) che tra loro e gli stranieri ci sia una distanza così grande da non poter essere colmata. Qualunque cosa questi ultimi possano fare. E, forse, quando dicono che gli immigrati sono troppi, in realtà intendono dire che non ne vogliono proprio nessuno.

 

“Quando l’effetto complessivo della globalizzazione fa saltare i meccanismi di riconoscimento comunitario, allora l’effetto di sfiducia diventa sfiducia nelle istituzioni. Lo Stato italiano ha un problema storico sulla solidità delle proprie istituzioni. In particolare, la sfiducia nelle istituzioni, che caratterizza da sempre gli italiani, fa percepire, pure considerando analoghe difficoltà di altre nazioni europee, il fenomeno migratorio come minaccia per noi ingovernabile. Lo studio mette in luce che l’alternativa è tra nuovi modelli di integrazione (…) in cui l’immigrazione è trasformabile in risorsa”, commenta il direttore della rivista, Gianfranco Brunelli. E Riace docet.

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