Uno dei processi penali più attesi degli ultimi anni negli Stati Uniti e non solo, quello contro l’ex produttore cinematografico Harvey Weinstein, è iniziato questa settimana in un tribunale di Manhattan con le arringhe introduttive dell’accusa e degli avvocati della difesa. Il compito che attende i dodici giurati appare estremamente complicato, viste le implicazioni e il clamore mediatico della vicenda che mette alla sbarra colui che era considerato uno degli uomini più potenti di Hollywood.

Al di là delle sue reali responsabilità nei molteplici episodi di molestie e violenze sessuali di cui è accusato – dentro e fuori i tribunali – il procedimento contro Weinstein sta avvenendo in un clima avvelenato e tutt’altro che imparziale. In gioco c’è d’altra parte non solo la sua libertà, ma anche la sorte del cosiddetto movimento “#MeToo”, oggetto degli enormi sforzi negli ultimi anni di una parte consistente dei media americani, ma anche di politici “liberal” e personalità del mondo dell’arte e dello spettacolo.

 

Già prima dell’apertura del dibattimento, Weinstein è stato sottoposto a ferocissimi attacchi sulla stampa e in televisione. Il suo ingresso in tribunale con un deambulatore, necessario a causa di un intervento alla schiena subito dopo un incidente stradale, invece di suscitare un qualche sentimento di umanità, ha se possibile acceso ulteriormente la spietatezza di molti commentatori, impegnati ad alimentare odio nei confronti di un vero e proprio “mostro” già da tempo condannato pubblicamente dai suoi accusatori.

Il pubblico ministero del processo, Meghan Hast, mercoledì ha ricostruito meticolosamente gli episodi oggetto delle imputazioni, insistendo in maniera deliberata sui minimi particolari del comportamento “predatorio” di Weinstein. Al centro delle accuse a New York ci sono presunti abusi sessuali commessi ai danni di tre donne. La prima è l’ex assistente di produzione della Weinstein Company, Mimi Haleyi, la quale sarebbe stata costretta a subire un rapporto orale nell’appartamento dell’accusato a Manhattan nel 2006.

La seconda è un’attrice rimasta anonima che sostiene di essere stata violentata in una stanza di un hotel di Manhattan nel 2013, mentre la terza è l’attrice italo-americana Annabella Sciorra, famosa soprattutto per avere recitato nella serie TV “I Soprano”. Anche quest’ultima ha denunciato Weinstein per stupro, ma i fatti sono ormai prescritti perché risalgono al 1993. La sua testimonianza in aula sarà comunque uno degli elementi chiave del processo.

Malgrado un’atmosfera creata appositamente per dare l’impressione dell’inevitabilità della colpevolezza dell’imputato, dal punto di vista legale gli aspetti più rilevanti delle accuse sembrano essere singolarmente favorevoli all’ex produttore caduto in disgrazia. In primo luogo, tutte le accuse mosse dalle tre donne si basano esclusivamente sulle loro ricostruzioni dei fatti, non essendoci testimoni diretti né prove “fisiche” dell’accaduto.

Un’altra questione rilevante ha a che fare col fatto che le accusatrici facevano parte più o meno regolarmente dell’ambiente frequentato e, si può sostenere, dominato da Weinstein, sia prima che dopo i fatti in questione. Inoltre, non solo le tre donne avevano trovato opportunità di carriera in questo stesso ambiente in concomitanza con gli incontri incriminati, ma, almeno secondo la difesa dell’ex produttore, si sarebbero comportate e avrebbero lasciato tracce non esattamente da vittime di un “predatore seriale”.

Quest’ultimo aspetto ha un peso importantissimo nel processo e, infatti, ha sollevato spesso osservazioni irritate nei commenti di svariati giornali impegnati nella battaglia contro Weinstein da due anni a questa parte. I suoi legali hanno cioè anticipato che la strategia difensiva si baserà sul tentativo di dimostrare che i rapporti sessuali avvenuti tra il loro assistito e le sue accusatrici erano consensuali.

L’avvocato Damon Cheronis ha affermato mercoledì in aula che Weinstein non era né un “predatore” né un “maestro della manipolazione”, poiché le donne che lo accusano “erano coinvolte con lui in relazioni transazionali volte a promuovere le loro stesse carriere”. La difesa ha promesso di presentare nel corso del dibattimento svariate mail e altro materiale che dovrebbe testimoniare di come le accusatrici, dopo le presunte violenze sessuali e anche a distanza di anni, avevano continuato a intrattenere rapporti a dir poco amichevoli con il loro presunto aggressore.

La validità delle accuse contro Harvey Weinstein e degli elementi a sua discolpa offerti alla giuria sarà ovviamente stabilita durante il processo. Che esso possa svolgersi in modo equo e imparziale è però difficile da credere. Le modalità con cui i media americani stanno seguendo il caso ha infatti creato pressioni gigantesche e alimentato un clima persecutorio al limite dell’isteria che lascia poco spazio a un giusto processo. I difensori di Weinstein avevano cercato inutilmente di spostare il procedimento da New York a un’altra località, proprio perché, a loro dire, quanto avverrà in aula sarà caratterizzato da “un’atmosfera carnevalesca”, con “giornalisti e telecamere che riempiono i corridoi del tribunale e manifestazioni di protesta [contro l’imputato] nelle strade”.

Già il primo giorno del dibattimento ha dato l’idea di come esso verrà seguito dai media nelle prossime settimane. La strategia difensiva di Weinstein, basata come anticipato in precedenza sul tentativo di screditare le sue accusatrici, è stata oggetto di pesanti critiche. Il confronto con gli accusatori e i testimoni dell’accusa, tuttavia, è un principio costituzionale ed elemento chiave di un processo che garantisca i diritti dell’imputato. Il ricorso a questa pratica appare dunque del tutto legittima anche per Weinstein, al di là delle sue vere o presunte responsabilità.

Il nervosismo di certi ambienti soprattutto “liberal” americani di fronte a quelle che dovrebbero essere normali garanzie democratiche dipende dal fatto che, come ha spiegato ad esempio il New York Times, col processo a Weinstein si decide in buona parte anche il destino del movimento “#MeToo”, iniziato due anni fa proprio con l’emergere delle accuse di decine di vittime o presunte tali contro l’ex produttore.

Se oggi ampi settori della società USA dimostrano poca o nessuna sensibilità democratica davanti a un imputato come Weinstein è perché temono che il castello di accuse costruito con questa campagna, e quasi sempre basate su testimonianze non provate, rischia di crollare clamorosamente alla prova della giustizia. Casi simili hanno già dimostrato di fare acqua nei mesi scorsi, come quelli che hanno coinvolto l’attore australiano Geoffrey Rush e, per quanto riguarda uno dei procedimenti a suo carico, Kevin Spacey.

Lo sciacallaggio su Weinstein rivela in altre parole le preoccupazioni dei promotori del movimento “#MeToo”, orchestrato a precisi fini politici e per vantaggi personali, davanti alla possibilità che tutto il clamore che ha infangato e distrutto carriere venga smascherato per quello che è. Ovvero un’operazione profondamente reazionaria che minaccia alcuni dei principi fondamentali del diritto in una società democratica, primi fra tutti quelli della presunzione di innocenza e di un processo equo.

La vicenda Weinstein ha ad ogni modo portato a galla un intreccio tossico, in buona parte risaputo e ampiamente diffuso in determinati ambienti del business e dello spettacolo, tra potere, arrivismo e manipolazione sessuale, indubbiamente ripugnante ed espressione quasi inevitabile dei rapporti interpersonali e professionali di una società capitalista.

Chiunque creda, però, che l’umiliazione e la distruzione di un uomo ricco e potente attraverso il calpestamento di diritti democratici universali possa in qualche modo rimediare a un torto o rendere giustizia a qualcuno, è destinato a risvegliarsi bruscamente dalle proprie illusioni. D’altra parte, a fare le spese dello smantellamento di questi stessi diritti sono in ultima analisi le fasce più deboli della popolazione. Non a caso, quegli stessi giornali e personaggi famosi che hanno già condannato Weinstein per colpe ancora da dimostrare, non si sentono minimamente offesi dal fatto che criminali di ben altro calibro continuino indisturbati a sedere nelle stanze del potere o nei consigli di amministrazione delle grandi corporation.

Per quanto riguarda ancora Weinstein, oltre a quelle attualmente in discussione, altre accuse e un nuovo processo lo attendono nel prossimo futuro anche a Los Angeles. I procuratori della metropoli californiana hanno incriminato formalmente l’ex produttore il 6 gennaio scorso per avere rispettivamente molestato sessualmente e violentato altre due donne, le cui identità restano sconosciute al pubblico. Solo per le accuse che deve fronteggiare a New York, Weinstein rischia addirittura una condanna all’ergastolo.

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