L'avvocato James Christie partì per un breve tragitto in macchina. Doveva raggiungere la Cancelleria di Birmingham, Alabama, per correggere alcuni documenti. Christie era certo di averli depositati a dicembre ma, una volta arrivato, scoprì che dei suoi documenti non c'era traccia. Gli impiegati giuravano di non averli mai visti e sui registri mancava la firma del corriere. I corrieri hanno l'obbligo di apporre un timbro sui fascicoli consegnati con  la dicitura di “ricevuto e archiviato” e l'impiegato ricevente doveva apporre la propria sigla con la data di consegna.

 

Invece non c'era nulla del genere, una petizione di 41 pagine in cui si affermava che l'imputato Eugene Clemons aveva diritto ad un riesame del suo caso non era mai arrivata a destinazione. La tempistica era importante perché provava che gli avvocati difensori non avevano mai fatto presente i problemi mentali di Clemons e la lunga serie di abusi subiti. Poiché Clemons era stato condannato a morte, se i giurati avessero saputo che aveva un quoziente intellettivo bassissimo e che era stato torturato durante l'infanzia, forse avrebbero preso una decisione diversa. O meglio: i giurati avevano deciso per l'ergastolo senza condizionale ma in Alabama ai giudici è consentito di ribaltare una sentenza con il cosiddetto “overturning” che consente di cambiare il destino di un imputato.

Clemons si trovava da anni nel carcere di Holman, una vetusta costruzione celebre per la violenza e il sovraffollamento. Quello di Christie era solo un disperato tentativo di salvargli la vita e alla fine la sua tenacia fu premiata perché da dietro un armadio polveroso uscì fuori per magia il fascicolo.

Purtroppo la scoperta non avrebbe risolto nulla. Tanta fatica per niente perché mancava una marca da bollo da 140 dollari e soprattutto erano passati ventuno anni dalla sentenza e le leggi erano cambiate. L'avvocato Christie non aveva un ruolo attivo nel caso e non avrebbe potuto prendere iniziative. Ci voleva il consenso del procuratore generale per fare qualsiasi mossa.

Anche l'appello alla Corte Suprema era stato inutile. Spettava comunque al difensore ufficiale agire a favore del suo assistito, ma questi protestava che era stata colpa dell'impiegata della Cancelleria se la petizione era rimasta incastrata dietro ad un armadio, ma la donna a sua volta negava la propria negligenza. Giunti all'aprile del 1996 non importava chi avesse sbagliato.

Nel 1992 era ancora possibile presentare un habeas corpus che poteva mitigare punizioni illegali ed arbitrarie. Ma dopo che Bill Clinton aveva affondato le mani nella giustizia, instaurando il famoso Anti Terrorism and Death Penalty Act , il concetto di giustizia era diventato più aleatorio e vago di una folata di vento.

Fare un elenco delle castronerie commesse da Clinton richiederebbe troppo tempo ma è certo che in materia di giustizia si crearono guai irreparabili. L'allora presidente amava dire che in America non c'era nulla che non andasse ma basterebbe guardare alla sua frenetica risposta alla tragedia dell'Oklahoma Building, in cui morirono 168 persone, per capire che le sue promesse sulla riforma della giustizia furono a maledizione per il paese.

L'esplosione di Oklahoma City fu attribuita inizialmente a presunti “terroristi” e Clinton face mille promesse su come avrebbe “snellito” i casi capitali e “tutelato “l'indipendenza delle revisioni federali”. In realtà non apportò alcuna miglioria ma creò ostacoli insormontabili per i condannati a morte e per tutti i detenuti soggetti a sentenze emesse da corti federali.

Oltretutto ai difensori rimanevano pochi mesi per organizzare un appello, impresa pressoché impossibile. Qualunque avvocato, anche il più abile, fu costretto a trasformarsi in Superman per presentare un appello entro 21 giorni. Biden sostenne quella riforma anche se oggi pare abbia scoperto di aver avuto “sempre riserve sui punti più radicali del AEDPA.

Uno dei passaggi prevedeva la restrizione delle armi biologiche e dei dispositivi plastici. Bisognava anche studiare meglio la fabbricazione di bombe. In concreto, a pagare per l'esplosione dell'Oklahoma Building non fu leader di un'armata terrorista ma un reduce della prima Guerra del Golfo, Thimoty Mc Veigh.

Mc Veigh era ossessionato dagli esplosivi e odiava ai neri ai quali assegnava i compiti più sgradevoli. Gli erano state assegnate numerose medaglie compresa quella per ls liberazione del Kuwait. Charles Hanger, un agente della stradale, lo fermò mentre girovaga a caso e lo portò al comando. I poliziotti si resero conto che si trattava di una testa calda che aveva perso ogni contatto con la realtà. L'uomo giusto al momento giusto.

Il 26 aprile 2001 Mc Veigh inviò una lettera alla Fox in cui spiegava perché aveva raso al suolo l'Oklahoma Building . Indicò in Terry Nichols, suo amico di lunga data, il suo complice.

L'esplosivo sarebbe stato occultato nella macchina di Mc Veigh. L'11 giugno 2001, in preda ad una rabbia incontenibile, fu giustiziato nel carcere di Terre Haute, Indiama. Ma gli esperti assicurano che la quantità di esplosivo per  radere al suolo un edificio di nove piani e uccidere 168 persone avrebbe dovuto essere almeno il quadruplo di quella ritrovata nel portabagagli dell'auto di McVeigh. E a rigor di logica ad agire erano state almeno cinque persone.

L'11 giugno 2001 l'America si ritrovò con un cadavere in più mentre la verità su come fossero andate le cose non è mai emersa, Nell'ultimo decennio la Corte Suprema ha spesso usato l'AEPDFA per pasticciare con le sentenze capitali. La magistratura USA avrebbe beneficiato dell'ADPEA volendo per evitare lungaggini qualora la legge fosse stata applicata con etica ineccepibile, cosa purtroppo mai avvenuta.

Eugene  Clemons era già in carcere dal 1992 quando avvenne l'esplosione di Oklahoma City ma le “riforme” di Clinton sono ricadute anche su di lui per via del fascicolo che non risulta essere stati presentato prima del 1996. Inoltre Clemons ha ucciso (secondo l'accusa) un poliziotto. Automaticamente il suo reato è di natura federale.

Ma a ben guardare la storia che lo riguarda somiglia più ad una farsa che ad una vicenda giudiziaria. Sul banco dei testimoni la madre della vittima pianse più di un'ora (cosa comprensibilissima); quello che è meno comprensibile è come mai i detectives non siano riusciti a rintracciare la nonna dell'imputato. Palesemente a corto di argomentazioni i difensori definirono Clemons “educatamente ottuso”.

Il tre giugno scorso la Corte Suprema ha escluso che ci siano gli estremi per rivedere il caso. L'avvocato Christie si era candidato come procuratore ma non ce l'ha fatta. Il suo attaccamento al caso di Clemons è solo una questione di giustizia. Christie pensa sia una vergogna che l'AEDPA ha avuto come unico risultato quello di ridurre le revisioni dei processi del 40%.

Eugene Clemens fu incriminato a 20 anni da una giuria tutta bianca. La vittima, George Althouse, fu trovato a terra sanguinante e nessuno vide Clemons sulla scema del crimine. Ma una settimana dopo Clemons fu arrestato e, poiché il processo si era svolto in una corte federale, non era previsto l'ergastolo senza condizionale. Il giudice aveva ormai deciso comunque per la pena capitale. Il procuratore vantò le doti morali della vittima. I difensori invece non riuscirono ad offrire un quadro che potesse mitigare la sua posizione. Rappezzarono la faccenda come meglio poterono.

Clemons si era trovato in difficoltà, uno dei difensori che avrebbe voluto salvargli la vita “non sapeva come”. Rimase in silenzio senza dire altre parole. Lo guardò dall'alto in basso poi disse a voce alta che sei famigliari sono rimasti assenti ci sarà un motivo “ignoto alla corte”. Fu Clemons a togliere tutti dall'imbarazzo prendendo come spunto un passaggio della motivazione che aveva portato la Corte Suprema a respingere la sua richiesta di revisione del processo definendolo “gangster”, “I gangster si lasciano dietro scie di cadaveri che nel mio caso non ci sono ed è questa l'unico salvifico che posso offrire a questa Corte ….”

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