Tra le conseguenze più catastrofiche della trasformazione liberista del lavoro, iniziata al tramonto del Ventesimo secolo e perfezionata all’alba del Ventunesimo, vi sono i “buoni lavoro”, meglio noti come “voucher”. Esordirono in Francia nel 1994, poi in Germania nel 2003 e in Belgio nel 2004. Furono importati in Italia nel 2003 dalla Riforma Biagi, applicati nel 2008 dal governo Prodi limitatamente al settore agricolo, estesi ad altri settori dal governo Berlusconi nel 2009. Furono poi liberalizzati dal governo Monti nel 2012 con la Riforma Fornero, che peraltro ne innalzò il limite economico da tre a cinquemila euro per ogni lavoratore.

Nel 2013 il governo Letta cancellò ogni riferimento alla originaria “natura meramente occasionale” delle attività lavorative. Nel 2015 il governo Renzi ne innalzò il limite a settemila euro e introdusse l’obbligatorietà dell’attivazione telematica. Nel 2017 il governo Gentiloni, per scongiurare il referendum abrogativo proposto dalla Cgil, li abolì ma per sostituirli con il Libretto di Famiglia per colf e badanti e con i Contratti di prestazione occasionale per alcune categorie di lavoratori agricoli e per determinate attività lavorative nell’ambito della Pubblica Amministrazione.

 

Nel 2018, infine, il governo Conte I, con il Decreto Dignità, ha operato una semplificazione burocratica nell’utilizzo dei Libretti di Famiglia e dei Contratti di prestazione occasionale. Oggi, in continuità con i governi che si sono succeduti dal 2008 e che hanno mantenuto, sia pure in forme diverse, questo particolare strumento del mercato del lavoro, il governo Meloni restaura i voucher; ed è una continuità liberista, è una restaurazione conservatrice.

Dei voucher, la stampa liberista schierata con le imprese ne decanta la fruizione: 134,1 milioni i buoni lavoro venduti nel 2016; 8,3 milioni nel 2021. Numeri citati per dimostrare il contrasto al lavoro nero e le possibilità di lavoro garantite. Numeri che invece dimostrano il livello raggiunto dalla precarizzazione e dall’impoverimento in cui è degradato il lavoro. Per quanto riguarda la lotta al lavoro nero, poi, bisognerebbe chiedersi quanti lavoratori costretti a ricorrere ai voucher non siano disponibili anche a lavorare oltre le tre ore previste dai buoni lavoro e retribuite con soli trenta euro.

Il governo Meloni ha liberisticamente eliminato ogni limite alla tipologia di lavoratori da assumere, ha ampliato le tipologie di imprese che potranno utilizzare i voucher, ha innalzato a diecimila euro il vincolo.

Quali saranno le conseguenze? In agricoltura, per esempio, i lavoratori e le lavoratrici non avranno buste-paga, perderanno il diritto al trattamento di disoccupazione con cui integrano il loro reddito, subiranno penalizzazioni sul versante pensionistico ed assistenziale. “La norma non porterà occupazione aggiuntiva in agricoltura, taglierà tutele e diritti a persone che oggi guadagnano meno di mille euro al mese, aggraveranno il problema del ricambio occupazionale”, ha dichiarato Stefano Mantegazza, Segretario Generale della Uila, la categoria del settore agroalimentare della Uil. La norma, infatti, è stata estesa pure ai lavoratori agricoli stagionali che erano rimasti fino a oggi esclusi dalla normativa vigente.

I voucher rappresentano l’esatto contrario dell’incentivazione al lavoro di qualità: giustamente retribuito, costituzionalmente garantito, stabile e dignitoso. Un privilegio concesso agli agrari, e non solo, che naturalmente applaudono il Presidente del Consiglio.

La restaurazione dei voucher, però, è emblematica anche della filosofia politica dell’attuale governo e della dottrina economica che esso persegue. Dimostra la necessità di chiudere urgentemente una fase politica ed economica del tempo presente, caratterizzata dal dominio liberista di destra e di sinistra. Dimostra la necessità di uscire dal liberismo e di tornare ai rapporti sociali ed economici sanciti dalla Costituzione del 1948.

Le mobilitazioni annunciate da Cgil e Uil, l’agitazione delle forze sociali e politiche non rappresentate in Parlamento, vanno in questa direzione ma incombe il dovere di organizzarsi e non solo contro i voucher. Oggi più che mai la situazione impone di schierarsi: col capitale o con il lavoro. È l’eterno ritorno della storia che lo chiede. Sapremo ascoltarla?

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