Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica,...
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Rafah e ONU, Israele al bivio

di Mario Lombardo

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato lunedì per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Il provvedimento è passato con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti, che hanno rinunciato al potere di veto, provocando una durissima reazione da parte del regime israeliano. Per tutta risposta, Netanyahu ha annullato la visita a Washington di una delegazione che avrebbe dovuto discutere con la Casa Bianca la possibile operazione militare nella città di Rafah, al confine tra la striscia e l’Egitto. Questa iniziativa, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, resta al centro dell’attenzione della...
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di Mario Braconi

Goldman Sachs è la sola tra le banche d'affari sopravvissuta quasi indenne alla crisi finanziaria: pur non essendo la più grande del mondo (30.000 dipendenti, 11 volte di meno della Industrial and Commercial Bank of China), né quella con il bilancio più robusto (totale attività pari a circa 900 miliardi di dollari, contro i 2,4 del colosso britannico HSBC), è di gran lunga la più redditizia (222.000 dollari per addetto - la seconda in classifica, JP Morgan, arriva "appena" a 133.000). Simbolo quintessenziale del liberismo più spericolato, icona del mondo finanziario, conventicola infiltrata nelle stanze dei bottoni dell'universo mondo, c'è chi la chiama Goldmine Sachs ovvero Miniera d'oro - Sachs, chi Government Sachs, ovvero Governo - Sachs.

La banca d'affari fondata a New York nel 1869 da due ebrei bavaresi (Marcus Goldman e Samuel Sachs) è stata per quasi un secolo e mezzo oggetto di ammirazione quanto di odio: il giornalista freelance John Arlidge è riuscito a penetrare all'interno del quartier generale di Goldman Sachs, un edificio anonimo al numero 85 di Broad Street, a New York, e a raccontare la Goldman ai lettori del Sunday Times.

Arlidge intervista Lloyd Blankfein, CEO di Goldman Sachs, nato 54 anni fa nel Bronx da un postino e una receptionist, laureato ad Harvard con borsa di studio. Con una busta paga da 68 milioni di dollari (nel 2007), mezzo miliardo di dollari di azioni della sua banca nella sua custodia personale, un appartamento da 30 milioni di dollari a Central Park West e un buen retiro di 2.000 metri quadri negli Hamptons, Blankfein è uno di quelli che ha risalito la scala sociale a tre gradini alla volta. Parla da iniziato (il che non è poi così strano, visto che è il capo supremo di un'organizzazione che assomiglia più ad una chiesa laica che ad una banca) e la sua autostima è apparentemente illimitata: "Noi (le banche) siamo importanti. Aiutiamo le aziende sostenendole nel processo di reperimento di capitali. Le società creano benessere. Questo crea posti di lavoro, che stimolano nuova crescita e nuovo benessere. Abbiamo una missione sociale". Più una professione di fede che una provocazione, pare.

La situazione patrimoniale di Goldman Sachs è molto diversa da quella delle concorrenti: innanzitutto ancora esiste, cosa che non può dirsi ad esempio di Lehman Brothers (lasciata fallire e poi suddivisa tra Nomura e Barclays), della Bear Stearns (acquistata per pochi dollari dalla JP Morgan grazie anche all'aiuto delle autorità pubbliche americane); inoltre, ha subito perdite accettabili (i mutui le sono costati 1,7 miliardi di dollari), cosa che le ha impedito di fare la fine di Citi (salvata con i soldi pubblici), o di Merrill Lynch (spinta a forza tra le braccia di Bank of America). E poi, pur avendo incassato 10 miliardi di dollari dal TARP (Troubled Asset Relief Program - programma di recupero di attività di difficile liquidazione), li ha restituiti dal Governo con gli interessi (si dice di oltre il 20%). Cosa che peraltro consente alla Goldman di pagare tranquillamente bonus stellari ai suoi dipendenti anche in tempi di crisi e di grande quanto giustificata impopolarità per le banche: per quest'anno sono stati messi da parte a questo scopo 21 miliardi di dollari, pari ad un bonus medio di 700.000 dollari per ogni dipendente, dal CEO all'ultimo dei contabili.

Come ha fatto GS a passare indenne attraverso lo tsunami che ha sbaragliato tutte le sue concorrenti? Se lo si chiede ai suoi dirigenti, come ha fatto Arlidge, le risposte tenderanno all'autoincensamento. Secondo Liz Beshel, madre single quarantenne nonché tesoriera di gruppo (la più giovane nella lunga storia di Goldaman), si sono evitati i danni esplosivi sui subprime grazie ad una politica molto prudente di gestione del rischio. Tutte le posizioni in essere, continua Beshel, sono valutate quotidianamente al loro valore di mercato; quando si è visto che il portafoglio dei mutui non stava producendo la performance desiderata per più di una settimana, "quella che in altre banche sarebbe stata considerata una differenza irrilevante, o addirittura un arrotondamento, scatenò in Goldman Sachs un processo di verifiche culminato con un meeting tra i suoi grandi capi", nel quale si decise di alleggerire la posizione della banca su quel mercato. Certo, vi furono comunque perdite rilevanti, ma stiamo parlando di poco meno di 2 miliardi di dollari (si consideri ad esempio che UBS in questo modo ne ha persi quasi 60).

L'infallibilità di Goldman Sachs è uno di quei miti così pervicacemente alimentati, che metterlo in dubbio sembra quasi un'eresia. Goldman ha una sua filosofia, basata su alcuni presupposti: innanzitutto, una patologica attrazione per il denaro. Dice un ex Goldman che la cultura della banca è "completamente ossessionata dal guadagno. Mi sentivo come un asino davanti alla più grossa e succulenta carota che avessi mai immaginato. Il denaro è il metro con cui si misura il tuo successo. Se non compri una casa o una barca più grande, significa che stai rimanendo indietro". In secondo luogo, Goldman alimenta nelle sue persone il culto dell'insicurezza.

Come dice Mr. Sherwood, capo dell'ufficio di Londra, "c'è un clima di costante e profonda paranoia in tutto quello che facciamo". Si dice che i candidati per un posto di lavoro in Goldman vengano sottoposti mediamente a venti colloqui prima di essere assunti, anche se si registrano casi limite in cui le selezioni si sono concluse solo dopo la trentesima intervista. Se ci fosse ancora qualche dubbio sull'osservanza “darwinista” del dipartimento Capitale Umano (non risorse umane, "capitale umano"), è bene sapere che la regola, in GS, è "cresci o te ne vai", non c'è spazio per le mezze tacche.

Il terzo pilastro è quello delle relazioni: per inveterata tradizione, gli ex Goldman Sachs occupano poltrone rilevanti in tutti i gangli del sistema economico, finanziario, politico e mediatico, negli USA come in Europa. Hanno alle spalle una carriera in Goldman Sachs, ad esempio, il segretario del tesoro di Clinton (Hank Paulson), l'attuale presidente e il precedente direttore della Federal Reserve di New York, il capo dello staff dell'attuale Segretario di Stato (Mark Patterson), il consigliere economico di Hillary Clinton, i capi di ieri e di oggi nel New York Stock Exchange (la Borsa di New York), e perfino il capo delle operazioni della SEC (la CONSOB americana). Anche Mario Draghi, attuale Governatore della Banca d'Italia, è un ex Goldman.

Ma per capire veramente che cosa è Goldman Sachs, è necessario allontanarsi dall'ortodossia dei dogmi che essa stessa ammannisce alle folle. Innanzitutto, uno dei punti di forza della banca è quello di essere contemporaneamente advisor (consulente, non di rado dei Governi) e trader (operatore di mercato). Ciò significa che con una mano fa consulenza ai clienti in grosse operazioni e con l'altra prende posizione su mercati (azioni, obbligazioni, materie prime) sui quali si muove da maestra grazie alla sua esperienza di advisor. Ovviamente, qualsiasi Goldmanite ribatterà citando la mitica regola secondo cui i due bracci del business della banca sono separati da rigorose "muraglie cinesi"; si dice che, se un banchiere d'affari di Goldman entra nella sala operativa della sua stessa banca, verrà immediatamente interrogato dai suoi capi.

A costo di sembrare qualunquisti, questo idilliaco quadretto mostra la corda quando si tenti di rispondere alla domanda: qualora un grosso affare con ritorni da capogiro renda necessario non dico saltare, ma semplicemente anche solo sbirciare dall'altra parte della "muraglia", il tipico uomo (o donna) Goldman - praticamente un tossico del denaro - saprà resistere alla tentazione?

Inoltre, quella che viene spudoratamente  spacciata per sagacia nell'interpretazione delle tendenze dei mercati è in realtà la capacità di pompare certi settori per specularvi sopra, salvo poi abbandonarli repentinamente a missione compiuta. Non sono pochi gli analisti che attribuiscono a Goldman Sachs un ruolo essenziale nella creazione di bolle speculative (è stato così per la febbre delle dot.com, per il boom delle materie prime, e poi del mercato immobiliare) dalle quali la banca ha beneficiato con collocamenti azionari e trading sul debito - salvo poi tirarsi indietro subito dopo aver portato a casa il profitto - circa un minuto prima che tutto andasse in malora.

Un altro caso interessante è quello che ruota attorno al destino della AIG (American Investment Group), venditrice dei celebri credit default swaps, assicurazioni sul rischio di fallimento dei prenditori di fondi. Risulta che quando l'AIG, ormai decotta, fu rilevata dal Tesoro e dalla Fed, la prima, inspiegabile mossa del nuovo proprietario pubblico della compagnia assicurativa fu quella di liquidare il 100% del valore dei CDS alle banche che a suo tempo li avevano comprati, questo quando da mesi ormai AIG stava negoziando per pagare solo il 60% del loro valore facciale.

Una differenza che vale 13 miliardi di dollari in più passati direttamente dalle tasche dei contribuenti ai forzieri dei clienti di AIG (tutte le principali banche, tra cui anche Goldman Sachs). Stranamente, al timone della Federal Reserve ai tempi c'era Henri Paulson (ex boss della Goldman Sachs); stranamente Paulson, che pure aveva giurato di non farlo, ha incontrato i suoi ex colleghi del board di Goldman Sachs ad un "evento sociale" a Mosca (un luogo dove ci potrebbero essere problemi di giurisdizione); ancor più stranamente, proprio mentre Paulson lavorava al salvataggio di AIG, i tabulati telefonici provano che, in soli sei giorni, egli si sia sentito ben 24 volte con Blankfein, il nuovo CEO di Goldman Sachs.

Eppure Goldman ha avuto l'arroganza di sostenere pubblicamente che, se pure AIG fosse andata in bancarotta, la banca non sarebbe affondata, dato che era protetta da una combinazione di cassa e di garanzie. Peccato che David Viniar, CFO di GS, si sia rifiutato di rendere note le controparti di questi fantasmatiche operazioni di copertura, cosa che rende "ridicola", nonché controproducente, la sua prova muscolare. Sembra dunque che il vero volto di Goldman Sachs assomigli molto più a quello dipinto dai molti cospirazionisti che alle fattezze rassicuranti che ci propongono i suoi capi.

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