Effetto Trump: Canada ai liberali

di Mario Lombardo

Le prime conseguenze elettorali del secondo mandato presidenziale di Donald Trump si sono potute osservare nella giornata di lunedì, anche se non negli Stati Uniti e con risultati che hanno evidenziato un’influenza indiscutibilmente negativa. L’inquilino della Casa Bianca è stato infatti un fattore decisivo nel voto anticipato in Canada che ha fatto registrare uno dei recuperi più...
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India-Pakistan, la miccia del Kashmir

di Michele Paris

Per la quarta notte consecutiva dall’attacco terroristico di settimana scorsa in Kashmir, le forze armate di India e Pakistan si sono scambiate colpi di arma da fuoco lungo la linea del confine di fatto che divide i due paesi asiatici. L’escalation dello scontro dopo l’assassinio di 26 turisti ha già raggiunto livelli molto pericolosi, con Nuova Delhi che potrebbe bombardare il Pakistan e ha preso la decisione senza precedenti di sospendere un fondamentale trattato sulla condivisione delle acque del fiume Indo, mentre da Islamabad è arrivata la minaccia esplicita del possibile uso di armi nucleari. Sull’episodio di sangue nella regione contesa non c’è ancora chiarezza, ma le tensioni che sono subito prevedibilmente esplose...
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di Sara Seganti

Una settimana intensa per i biocarburanti è appena trascorsa. Il bioetanolo e il biodiesel, due tra i biocarburanti più diffusi, rappresentano un’alternativa a benzina e gasolio e sono prodotti a partire da materie prime alimentari. I biocarburanti hanno origine da fonti rinnovabili e rientrano, perciò, nella direttiva comunitaria 2009/28 che fissa, come obiettivo generale, per l'Unione Europea una quota del 20% di energia rinnovabile rispetto al consumo totale di energia, da conseguire entro il 2020.

In seguito all’emanazione di questi obiettivi vincolanti, l’Unione ha specificato che, per quanto riguarda i biocarburanti, essi devono garantire la sostenibilità, intesa principalmente come tutela della biodiversità, e la riduzione dei gas serra rispetto all’utilizzo delle energie fossili. Tradotto: non si possono produrre biocarburanti con la deforestazione e poi pretendere di usufruire degli incentivi europei per le rinnovabili.

E questo è già qualcosa, ma a livello internazionale si sta prendendo coscienza che i problemi causati dai biocarburanti non si esauriscono affatto nella questione ambientale tout court.

Infatti i vincoli posti dall’Unione, fin qui, non sono bastati a indirizzare la produzione di biocarburanti in una direzione compatibile con gli equilibri alimentari dei paesi in cui vengono prodotti. L’aumento esponenziale della produzione, conseguenza degli incentivi europei e della crescita del prezzo del petrolio, richiede sempre più terra da convertire dalla produzione di derrate alimentari destinate al mercato interno, alla produzione di biocarburanti per il mercato esterno.

Nei paesi in via di sviluppo, dove la terra si svende ancora con facilità, i prezzi degli alimenti stanno salendo a dismisura: e così, anche per via dei biocarburanti, si apre la strada alla possibilità di una vera e propria crisi alimentare. Se il cibo si trasforma in benzina, come correre ai ripari?

Lo scorso 24 maggio è uscito il protocollo sui biocarburanti del GBEP (Global Bioenergy Partnership), cui aderiscono 23 paesi tra emergenti e industrializzati e 13 istituzioni internazionali con lo scopo di coordinarsi, su base volontaria, riguardo alle linee di indirizzo sulle bioenergie.

Il GBEP punta il dito sulla necessità di garantire un livello di sostenibilità nella produzione dei biocarburanti, attraverso l’individuazione di 24 criteri da rispettare, tra cui figurano, sì, il contenimento dei livelli di emissioni di gas e la tutela della diversità biologica, ma anche, il calmieramento dei prezzi e la reperibilità dei generi alimentari nei paesi in via di sviluppo.

Il 31 maggio è stata la volta del Guardian, autorevole quotidiano d’oltre Manica, che ha pubblicato uno speciale sulla speculazione in atto nella corsa alla terra africana per la produzione di biocarburanti, all’origine di forti squilibri alimentari locali.

Quasi la metà dei 3.2 milioni di ettari di terra coltivata per i biocarburanti, nei paesi che vanno dal Mozambico al Senegal, può essere ricollegata a 11 aziende inglesi indifferenti alla questione alimentare, complici governi locali conniventi e lauti guadagni. E sono ben 7 le aziende italiane nelle prime file del business dei biocarburanti in Africa.

A completare il quadro è arrivato, lo scorso 1° giugno, il rapporto Oxfam (un coordinamento di diverse Ong), dal titolo evocativo “Growing a Better Future” (Coltivare un futuro migliore) sull’imminente crisi alimentare dove i biocarburanti figurano come una delle principali cause.

Se si smettesse di ridurre la produzione alimentare, dati alla mano, sarebbe possibile sfamare una popolazione mondiale che dovrebbe raggiungere una cifra stimata, nel 2020, vicina ai 10 miliardi di esseri umani. Ma per questa data il prezzo di un alimento base come il mais, già al suo massimo storico, sarà più che raddoppiato. Sono sempre di più le persone che spendono fino all’80% di quel che guadagnano unicamente per nutrirsi: secondo le recenti stime della Banca Mondiale, solo per i rincari alimentari degli ultimi mesi, dallo scorso giugno a oggi, sono entrati sotto la soglia di povertà già 44 milioni di persone. I biocarburanti sono allora davvero energie rinnovabili?

Sono in molti oggi a sostenere di no. Circa il 40% del grano prodotto negli Stati Uniti finisce nei biocarburanti e, ad oggi, il 18% dei biocarburanti usati nel Regno Unito sono prodotti a partire da grano e frumento, cereali che rappresentano l’alimentazione di base del mondo in via di sviluppo.

Dato che gli obiettivi Ue prevedono di raddoppiare l’utilizzo di biocarburanti nei prossimi dieci anni, queste percentuali sono destinate a salire mettendo seriamente a rischio la sostenibilità alimentare nei paesi in via di sviluppo.

E non bisogna neanche dimenticare che l’effetto serra, generato dai sistemi di produzione estensivi dei biocarburanti, potrebbe seriamente ridimensionare i risultati positivi ottenuti sulle emissioni di carbonio.

Sarebbe utile, innanzitutto, che l’Ue si assumesse le sue responsabilità stilando delle linee guida più rigide per fare rientrare i biocarburanti nel conteggio delle rinnovabili.
Si è giunti al paradosso che con lo scopo di tutelare l’ambiente, proprio nel nome dello sviluppo sostenibile, si aggravano le già difficili condizioni di vita del mondo in via di sviluppo. Questa sembra essere la riprova che gli incentivi sono strumenti da utilizzare con cautela perché, nel nostro mondo globalizzato, influenzare gli equilibri economici in modo artificiale può trasformare facilmente una buona idea in un pessimo risultato.

E, giacché le alghe sono la next big thing tra le fonti per produrre biocarburanti di seconda generazione, speriamo di riuscire a organizzarci per tempo e salvare almeno quelle, prima che chi si nutre di alghe non abbia più niente da mangiare.

 

 

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