Kirk: dall’omicidio alla repressione

di Michele Paris

L’assassinio di settimana scorsa in un campus universitario dello Utah dell’attivista trumpiano di estrema destra, Charlie Kirk, sta diventando la giustificazione per una nuova stretta repressiva dei diritti democratici in America e di un’autentica caccia alle streghe tra gli oppositori dell’amministrazione repubblicana. Senza attendere dettagli più precisi sugli (eventuali) orientamenti...
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Droni russi e bugie polacche

di Mario Lombardo

Sullo sconfinamento dei droni russi in Polonia nelle prime ore di mercoledì non sono ancora emerse notizie chiare né prove certe, ma il governo di Varsavia e il resto della NATO non hanno come al solito esitato a lanciare una nuova ondata di attacchi e denunce contro Mosca per la presunta aggressione e il pericolo di escalation che essa comporterebbe. Questo atteggiamento di isteria a comando è in genere il primo segnale che si sta assistendo a un’operazione preparata a tavolino, ovvero a una “false flag”, con lo scopo sì di favorire un’escalation militare, ma da parte europea contro la Russia e con il coinvolgimento degli Stati Uniti. I fattori da considerare per fare luce sulla vicenda sono in ogni caso molteplici, ma una...
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di Carlo Musilli

A Piazza Affari si sente l'odore di un nuovo scandalo. Non c'è più solo Mps a turbare i sonni dei broker: il nuovo imputato si chiama Saipem, società del gruppo Eni specializzata nella perforazione di pozzi petroliferi e nella costruzione di oleodotti e gasdotti. Ieri il titolo dell'azienda ha ridefinito il concetto di "tonfo" in Borsa, chiudendo la seduta in rosso di quasi 35 punti.

La perdita netta ha sfiorato i tre miliardi di euro e il contraccolpo ha trascinato nel baratro anche Eni, che - avendo in pancia il 43% delle azioni Saipem - ha lasciato sul campo il 4,7%. I due crolli (insieme all'ennesimo scivolone dello yo-yo Montepaschi, -9,5%) hanno fatto di Milano la peggiore fra le Borse europee (-3,36%).

"L’impatto per gli azionisti di Eni di quanto comunicato ieri da Saipem sarà nel 2013 di circa 200 milioni di euro, circa il 3% dell'ultimo utile annuale", ha detto alla stampa il CFO del cane a se zampe, Massimo Mondazzi, che ha preso atto di "quanto dichiarato da Saipem, e cioè che la flessione sarà transitoria e si avrà una significativa ripresa già dal 2014". Magra consolazione dopo un tracollo del genere.

Ma quale sassolino ha causato questa ennesima valanga finanziaria? In realtà, si tratta di un macigno: lunedì sera, a mercati chiusi, Saipem ha diffuso un "profit warning", ovvero una comunicazione per annunciare che i suoi risultati saranno inferiori alle previsioni. In particolare, sono state riviste al ribasso le stime sugli utili del 2012 e quelle sui conti del 2013. Il motivo? Sembra che gli ordini abbiano rallentato nell'ultimo trimestre e che "le negoziazioni di nuovi contratti - ha ammesso la società - si concluderanno con esiti inferiori alle previsioni". Tutto questo significa meno soldi da distribuire agli azionisti, che quindi hanno iniziato a liberarsi dei titoli.

Fin qui la storia sembra lineare, ma non lo è. I sospetti sono molti. A cominciare da quelli che circolano intorno al misterioso "investitore istituzionale" che lunedì ha venduto per intero la sua corposa partecipazione nel capitale di Saipem, pari al 2,2% (a quanto risulta dai registri, escludendo Eni, l'unico investitore ad avere più del 2% di Saipem è il fondo Fidelity, che però si è detto estraneo alla vicenda).

Guarda caso, la lungimirante (e strana) operazione è stata conclusa in fretta e furia poche ore prima del funesto "profit warning". Un tempismo formidabile che ha consentito a questi geni della finanza di evitare una perdita mostruosa, piazzando ogni singolo titolo a 31 euro, 11 in più rispetto alla quotazione post-crollo. Fortuna, magia nera o inciucio? A stabilirlo sarà la Consob, che ha avviato un'indagine.

C'è poi un altro aspetto da considerare, probabilmente più grave. I numeri che Saipem ha drasticamente corretto due giorni fa erano stati scritti quando a guidare la società era Pietro Franco Tali, l'amministratore delegato che Eni ha deciso di sostituire a inizio dicembre. Una scelta che non aveva nulla a che vedere con la strategia aziendale, dal momento che su questo manager così ottimista grava una pesante accusa di corruzione.

La vicenda è legata a uno scandalo esploso in Algeria intorno alla Sonatrach, compagnia petrolifera dello Stato nordafricano. Il presidente Mohamed Meziane e  15 dirigenti, accusati di corruzione e malversazione, sono stati costretti a dimettersi. Secondo la stampa algerina, il sospetto è che i manager abbiano intascato tangenti in cambio di appalti da concedere a tre società straniere, fra cui Saipem.

L'azienda italiana ha siglato con Sonatrach un contratto da 580 milioni di dollari per la realizzazione di un gasdotto lungo 350 chilometri, il GK3. Il progetto, tra l'altro, avrebbe dovuto assicurare l'approvvigionamento del futuro gasdotto Galsi, che collegherà l'Algeria all'Italia attraverso la Sardegna. L'accordo però sarebbe stato raggiunto "in condizioni poco chiare", in cambio di "servizi" o "commissioni". Per così dire, visto che si parla di appartamenti e ville tra Parigi e Algeri.

All'epoca, Tali si era difeso affermando di non essere coinvolto nell'indagine algerina. Peccato che martedì la Procura di Milano gli abbia inviato un avviso di garanzia.

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