Gli USA si annettono l’Ucraina

di Fabrizio Casari

L’accordo sulle terre rare tra Stati Uniti e Ucraina è stato firmato, ma chiamarlo accordo è uno strano modo di definire l’esproprio del 50% delle ricchezze nazionali da parte di un paese verso un altro. Non si può negare, infatti, che con l’accordo si sia suggellata un’autentica vergogna per l’Ucraina che cede le sue scarse ricchezze residue in cambio del protettorato statunitense....
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Effetto Trump: Canada ai liberali

di Mario Lombardo

Le prime conseguenze elettorali del secondo mandato presidenziale di Donald Trump si sono potute osservare nella giornata di lunedì, anche se non negli Stati Uniti e con risultati che hanno evidenziato un’influenza indiscutibilmente negativa. L’inquilino della Casa Bianca è stato infatti un fattore decisivo nel voto anticipato in Canada che ha fatto registrare uno dei recuperi più clamorosi della storia di questo paese e non solo. Il Partito Liberale di centro(-sinistra) del neo-primo ministro, Mark Carney, ha ottenuto la quarta vittoria consecutiva alle urne, relegando i conservatori nuovamente all’opposizione al termine di una campagna elettorale che ha visto il loro leader, Pierre Poilievre, riproporre molti dei temi e delle...
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di Carlo Musilli

Anche ai padroni può capitare di finire sotto accusa. E' successo perfino alla padrona d'Europa. Ieri la Commissione di Bruxelles ha annunciato "un’indagine approfondita" per stabilire se le violazioni compiute da Berlino in ambito commerciale abbiano creato squilibri macroeconomici nell'Ue a discapito di altri Paesi membri. La questione contingente ruota intorno a una percentuale. Si tratta del surplus della bilancia commerciale (ovvero la differenza fra esportazioni e importazioni) in rapporto al Pil.

Secondo le regole comunitarie, questo dato non deve superare il 6% nella media degli ultimi tre anni. La Germania ha violato costantemente il limite, registrando un avanzo del 6,24% nel 2010, del 6,21% nel 2011, e arrivando addirittura oltre il 7% l'anno scorso. La media sui tre anni è del 6,5%. Lo scorso settembre l'avanzo si è attestato a 19,7 miliardi di euro, oltre l'8% del Pil 2012: il risultato migliore al mondo, superiore anche a quello della Cina. Allargando lo sguardo oltre il triennio, il surplus tedesco supera il 6% ormai dal lontano 2007.

A prima vista questi numeri sembrano rivelare solo che il commercio tedesco va molto bene. In realtà, il limite esiste per un motivo. Se un Paese evita di rilanciare la domanda interna (tenendo quindi basso l'import) e punta tutto sulle esportazioni, danneggia inevitabilmente gli altri membri della comunità economica cui appartiene. A grandi linee, mors tua vita mea: il mio surplus è il tuo deficit.

E' esattamente questa l'accusa che una schiera di economisti inascoltati rivolge alla Germania ormai da anni. Negli ultimi tempi qualcosa sembra essere cambiato nei rapporti di forza internazionali, perché anche le maggiori istituzioni economiche mondiali hanno iniziato a svegliarsi. La critica più dura nei confronti di Berlino è arrivata recentemente dagli Stati Uniti.

Il Tesoro Usa ha scritto che "l'anemico passo della crescita della domanda domestica e la dipendenza dalle esportazioni" della Germania "hanno impedito un riequilibrio nel momento in cui molti altri Paesi dell'area euro sono sotto forte pressione per ridurre la domanda e comprimere le importazioni al fine di promuovere aggiustamenti di bilancio". Un processo che, sempre secondo gli americani, ha provocato "una tendenza alla deflazione sia per la zona euro che per l'economia mondiale".

Il ministero delle Finanze tedesco ha reagito sdegnato alla pubblicazione di Washington, parlando di accuse "incomprensibili e inaccettabili". Purtroppo per loro, su questo terreno gli Stati Uniti sono in ottima compagnia.

Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, anche David Lipton, vice direttore del Fondo monetario internazionale, nel corso della sua ultima visita a Berlino ha chiesto alla Germania di ridurre il surplus commerciale. Non solo: in uno studio firmato da Jan in 't Veld, economista della Commissione europea, si legge che l'austerità interna della Germania ha aggravato la recessione dei paesi in deficit, rendendo "più duro il riequilibrio nella periferia ed esacerbando ulteriormente il temporaneo peggioramento del rapporto debito-Pil".

Dal crudo dato sulla bilancia commerciale si risale così all'intera politica economica che Bundestag e Bundesbank hanno imposto all'Europa: la cura dell'austerità si è rivelata fallimentare per tutti, in particolare per i già malandati Piigs, ma la Germania - da sola - ne ha tratto vantaggio, perché ha potuto permettersi di compensare il rigore interno con la forza straripante delle esportazioni.

Dopo l'indagine avviata ieri, rimane da capire se Bruxelles sfrutterà l'occasione per imporre finalmente un cambiamento di rotta, oppure se si risolverà tutto nel nulla, come è stato finora. La Commissione terminerà le sue verifiche tra febbraio e marzo dell'anno prossimo: a quel punto potrebbe chiedere a Berlino di aggiustare il tiro e, nel caso in cui le raccomandazioni venissero ignorate, dovrebbe punire i tedeschi con una sanzione pari allo 0,1% del loro Pil. Non proprio una rivoluzione copernicana, ma almeno un primo passo verso la consapevolezza che la stabilità finanziaria non ha senso se manca la crescita, e che la crescita è effimera se non si fanno ripartire i consumi.

Purtroppo, i primi segnali non vanno in questa direzione. Sempre ieri, il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, ha detto che l'obiettivo di Bruxelles è capire se l'eccessivo surplus commerciale "della Germania abbia un impatto negativo sul funzionamento dell'economia europea, anche se siamo consapevoli che riguarda il rapporto commerciale della Germania con il mondo, non soltanto con la zona euro". La precisazione, se non si va oltre il dato grezzo, è ineccepibile. Ma, come si dice? Quando il dito indica il cielo...

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