Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Carlo Musilli

Metti insieme il regno delle class action, gli Stati Uniti, e i prodotti finanziari più redditizi e oscuri, i derivati. Il risultato è un’azione legale (l’ennesima) contro le 10 banche più potenti del pianeta: Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Citigroup, Bank of America, Merrill Lynch, Barclays, Credit Suisse, BNP Paribas, Deutsche Bank, UBS e Royal Bank of Scotland.

La settimana scorsa questo dream team della finanza mondiale è finito sotto accusa per aver creato un cartello che, “almeno dal 2007”, avrebbe impedito l’ingresso d’intermediari non bancari sul mercato degli “interest rate swap”, un tipo particolare di derivati.

A presentare l’azione giudiziaria sono stati il Public School Teachers’ Pension e il Retirement Fund of Chicago, due fondi pensione che sostengono di aver pagato più del dovuto i contratti di swap a causa delle limitazioni alla concorrenza generate dal presunto cartello.

Insieme alle banche, sono state citate in giudizio davanti alla Corte distrettuale di Manhattan anche due piattaforme di scambio degli swap: Icap e Tradeweb. Quest'ultima è controllata al 40% dall'agenzia di stampa anglo-canadese Thomson Reuters, che però non è stata accusata di alcun illecito.

Il caso ha suscitato grande clamore non solo per i nomi degli istituti coinvolti, ma anche per il peso nel sistema finanziario globale degli “interest rate swap”. Con questa espressione si fa riferimento ai contratti swap più diffusi, attraverso i quali due parti si scambiano - per un periodo di tempo prestabilito - pagamenti calcolati sulla base di tassi d’interesse differenti e predefiniti, applicati a una somma di riferimento. In sostanza, non c'è scambio di capitali, ma solo di flussi corrispondenti al differenziale fra i due tassi d’interesse (di solito uno fisso e uno variabile).

Il mercato degli “interest rate swap” è ciclopico: vale circa 320mila miliardi di dollari, una cifra difficile da immaginare. Solo per avere un termine di paragone, basti pensare che il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti è pari a circa 16.700 miliardi, venti volte meno del business legato agli Irs.

Insomma, da soli questi derivati costituiscono una larga fetta di quell’attività speculativa che non ha nulla a che vedere con l’economia reale e che garantisce ai colossi di Wall Street la massima parte dei loro guadagni. E’ come una gigantesca nube finanziaria che sovrasta la realtà produttiva senza più bisogno d’intrattenere con essa alcun rapporto.

Proprio dalla folle compravendita di derivati (tossici) è iniziata la crisi del 2007, che, nata negli Usa, ha poi attraversato l’Atlantico per trasformarsi a poco a poco nella crisi dei debiti sovrani europei. All’epoca il peccato originale fu nei “credit default swaps” legati ai mutui subprime, ovvero titoli derivati che funzionavano come assicurazioni sulla fragile vita dei mutui immobiliari più criminali della storia contemporanea.  

Non più tardi dello scorso settembre si è conclusa negli Stati Uniti un’altra class action che aveva come oggetto proprio i Cds (il cui mercato a fine 2014 valeva 16mila miliardi di dollari). In quel caso erano coinvolte 12 banche - fra cui Goldman Sachs, JP Morgan Chase e Citigroup -, accusate dagli investitori di aver manipolato il mercato dei “credit default swaps” per controllare le informazioni, limitare la concorrenza e manipolare i prezzi.

Alla fine gli istituti, pur senza ammettere alcuna responsabilità, hanno patteggiato, accettando di pagare un risarcimento da 1,87 miliardi di dollari. Una conclusione analoga a quella di molte altre cause intentate contro banche americane per il far west che ancora regna nel mondo dei derivati.

E alle banche non potrebbe andare meglio di così: per quanto costoso, il patteggiamento chiude la causa particolare senza mettere in discussione il sistema generale. Non sarà perciò una grande sorpresa se anche la class action aperta la settimana scorsa si chiuderà in questo modo. In fondo, non è bastata una crisi globale per regolamentare il mercato in cui si fanno soldi dai soldi.

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