Trump e Putin al caminetto

di Fabrizio Casari

L’appuntamento è per il 15 Agosto in Alaska e sarà il primo del secondo mandato di Trump alla Casa Bianca. Il fatto che vi sarà un incontro è di per sé un fatto positivo, quando le due superpotenze nucleari dialogano il mondo intero respira meglio. Ma non è affatto detto che sia risolutivo: l’agenda è piuttosto fitta e sebbene l’Ucraina sia il punto di maggiore interesse politico e...
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La finta scoperta della Palestina

di Fabrizio Casari

Prima Parigi, poi Londra, quindi Toronto, forse Berlino. Sembrano essersi tutti convinti i governi europei e il canadese, di dover riconoscere la Palestina come Stato. Dunque con un procedimento formale, che include l’ufficializzazione delle relazioni diplomatiche bilaterali con tutto ciò che organizzativamente comporta, a cominciare dall’apertura dei rispettivi uffici diplomatici accreditati. C’è chi ritiene che l’iniziativa di per sé rappresenti un piccolo “strappo” nei confronti degli Stati Uniti, che hanno infatti già minacciato il Canada di ritorsioni ad ogni livello ove venisse confermato l’annuncio. Ma è solo teatrino, dargli valore sarebbe un ragionare tutto politicista, un machiavellismo di seconda mano, privo...
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di Marco Montemurro

Il Nepal, la più giovane repubblica del mondo, sta attraversando una crisi che minaccia la legittimità del governo nazionale. Il processo di pace, avviato nel 2006 dopo l’abrogazione della monarchia, rischia ora di arrestarsi poiché la Costituzione, fondamenta del nuovo Nepal democratico, appare ancora lontana. Il mese scorso il paese ha rischiato di cadere in un limbo istituzionale. Dopo settimane di fallimentari trattative tra le forze politiche, il termine per varare la nuova costituzione, imposto il 28 maggio, era prossimo a scadere. Solamente l’ultimo giorno, venti minuti prima della mezzanotte, l’Assemblea Costituente è giunta a un fragile accordo per di prolungare i lavori di un ulteriore anno. È una tregua che, per il momento, non lascia intravedere alcuna soluzione definitiva.

In Nepal da mesi il governo mostra segni di debolezza, una congiuntura pericolosa perché potrebbe essere la premessa di un ritorno alla guerra civile. La situazione è anomala, in quanto il partito maggiormente rappresentato in Parlamento, l’Unified Communist Party of Nepal (Maoist), è fuori dal governo e, di conseguenza, in conflitto con le altre due importati formazioni politiche, il Nepali Congress e il Communist Party of Nepal (Unified Marxist-Leninist).

Indubbiamente, i maoisti sono i protagonisti della scena politica, come dimostra la storia nazionale degli ultimi anni. Reduci da un decennio di aspri combattimenti contro la monarchia - una lotta armata che ha provocato oltre 13.000 vittime - nel 2006 i maoisti assaporarono la vittoria, assistendo alla deposizione di re Gyanendra. Raggiunto tale primo traguardo, dopo aver stretto accordi con le altre forze politiche, accettarono di deporre le armi, iniziando a collaborare per la fondazione di un nuovo Nepal, repubblicano e democratico.

I maoisti, volendo continuare il processo rivoluzionario anche tramite gli organismi politici, nel 2008 parteciparono alle prime elezioni e, forti di un ampio sostegno popolare, ottennero il risultato più elevato grazie al 30% dei voti. Il successo sancì l’ingresso dei maoisti nella costituente e il loro leader, Pushpa Kamal Dahal (detto Prachanda) fu nominato primo ministro.

Sembrava che un vento di rinnovamento soffiasse sul paese, tuttavia la crisi era alle porte. Dopo soli dieci mesi di governo, nel maggio dello scorso anno, Prachanda decise di dimettersi e, assieme a lui, il partito maoista uscì dal governo. Entrò in contrasto con il presidente, Ram Baran Yadav, accusandolo di non aver accettato la sua richiesta di rimuovere il capo delle forze armate, Rookmangud Katawal, reo di aver negato l’integrazione degli ex guerriglieri maoisti nell’esercito nazionale.

La questione è importante, perché la riforma delle forze armate fu un’inderogabile richiesta che imposero i maoisti nel 2006, condizione necessaria per l’avvio degli accordi. Acconsentirono infatti al processo di pace poiché in esso non venne previsto lo smantellamento dell’Esercito di Liberazione Nazionale, bensì una sua assimilazione nell’esercito del Nepal. La delusione di questa promessa ha inevitabilmente incrinato il dialogo politico e, da allora, il cammino verso la pacificazione ha iniziato a entrare in crisi.

Da un anno ormai, dal giorno delle dimissioni del primo ministro Prachanda, il Nepal repubblicano stenta a trovare un equilibrio. Nel corso dei mesi, infatti, si susseguono proteste contro il presidente Yadav e il nuovo governo di unità nazionale. Il conflitto non sembra calare, anzi, le dimostrazioni più intense sono avvenute proprio nelle scorse settimane. In occasione delle celebrazioni del Primo Maggio, è stato organizzato uno sciopero generale che, per sei giorni, ha bloccato la capitale, paralizzando scuole, uffici, fabbriche e trasporti. Circa 100.000 persone si sono riversate nelle strade, deluse nei confronti dell’attuale governo.

L’Assemblea Costituente, dunque, si trova in una situazione di stallo, in scacco dei maoisti, risoluti nel far valere il loro peso politico. Per essere varata, la nuova Costituzione necessita dell’approvazione dei due terzi dell’assemblea; pertanto i maoisti, dato che detengono il 38% dell’aula, inevitabilmente devono partecipare al voto. Si prospettano quindi due ipotesi: o parte delle loro richieste saranno soddisfatte, oppure l’intero processo di pace rischia di crollare, un’eventualità che potrebbe significare il ritorno alla lotta di migliaia di ex guerriglieri.

La collaborazione tra le principali forze politiche, quindi, è una condizione fondamentale, ma anche un fattore che pone in vantaggio i maoisti. Rimanendo all’opposizione, hanno già ottenuto un primo obiettivo il 28 maggio, quando è stato posticipato il termine dei lavori della Costituente. Il documento redatto, infatti, include un’importante clausola, ossia viene assicurato che l’attuale primo ministro “è pronto a rassegnare le proprie dimissioni”. I maoisti, possedendo forze sia nelle strade sia dentro il Parlamento, difficilmente potranno essere esclusi nel futuro del Nepal.

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