Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Michele Paris

A suggello di una serie di iniziative adottate nelle ultime settimane a favore delle imprese americane, Barack Obama mercoledì scorso è stato protagonista di un faccia a faccia estremamente cordiale con i vertici delle più influenti corporation del paese. Nell’incontro, il presidente si è scusato per gli occasionali sfoghi anti-business di questi primi due anni del suo mandato ed ha garantito ai veri padroni di Washington un ulteriore sforzo da parte della sua amministrazione per un futuro dedicato sempre più alla difesa degli interessi del capitalismo a stelle e strisce.

L’incontro voluto da Obama è andato in scena alla Blair House, prestigiosa residenza a due passi dalla Casa Bianca dove trovano solitamente alloggio i dignitari stranieri in visita negli Stati Uniti. Ad accompagnare il presidente c’erano alcuni membri del suo staff, a cominciare da Valerie Jarrett, top manager nel settore immobiliare e responsabile dei rapporti tra Obama e la comunità degli affari.

Seduti dall’altra parte del tavolo c’erano venti rappresentanti dell’élite economica e finanziaria USA, tra cui Eric Schmidt (presidente e amministratore delegato di Google), Greg Brown (Motorola), John Chambers (Cisco System), Kenneth Chenault (American Express), Scott Davis (UPS), Paul Otellini (Intel), Jeffrey Immelt (General Electric), Ellen Kullman (DuPont), Robert Wolf (UBS), Andrew Liveris (Dow Chemical), James McNerney (Boeing) e Indra Nooyi (Pepsi).

Secondo le fonti ufficiali, in quasi cinque ore e a porte chiuse la discussione ha affrontato svariati temi, come il sistema fiscale, l’export, la regolamentazione dell’economia e l’educazione. In pratica, Obama e i suoi hanno illustrato recenti o imminenti provvedimenti che spaziano dai tagli alle tasse per le grandi compagnie a un allentamento del già debole controllo pubblico sul business privato; dal nuovo impulso alle esportazioni (grazie alla compressione dei salari dei lavoratori per rendere più competitive le merci americane) al rinvio indefinito delle norme sulla riduzione delle emissioni in atmosfera, considerate un gravoso fardello da tutte le corporation.

Ai manager, Obama avrebbe a sua volta chiesto di tornare ad investire e a mettere in atto una campagna di assunzioni nel paese, così da abbattere un livello di disoccupazione che rimane preoccupante. A questo proposito, il presidente ha fatto riferimento ai circa due mila miliardi di dollari congelati sui quali siedono i consigli di amministrazione delle multinazionali americane, senza però insistere troppo sul fatto che investimenti e posti di lavoro continuano a scarseggiare, mentre si prospettano pesanti tagli alla spesa sociale per far fronte a un deficit gigantesco.

Il summit di Washington è apparso a molti come una delle conseguenze della vittoria repubblicana nelle elezioni di medio termine dello scorso novembre, in seguito alle quali dalla Casa Bianca si è deciso di imprimere una sterzata a destra alla propria azione politica. In realtà, anche se i media istituzionali continuano a sottolineare le frizioni con la comunità degli affari che avrebbero caratterizzato la prima metà del mandato presidenziale, l’agenda avanzata finora da Obama e dal Partito Democratico ha già risposto pressoché unicamente alle richieste dei grandi interessi economici del paese.

Nonostante il piano di salvataggio di svariate centinaia di miliardi di dollari approvato sul finire dell’amministrazione Bush nel 2008, una pseudo-riforma del sistema finanziario che lascia campo libero alle speculazioni dei colossi di Wall Street e il recente annuncio dei profitti record per le compagnie statunitensi, queste ultime hanno ripetutamente espresso il loro malcontento nei confronti di Barack Obama. Questa insofferenza, soprattutto, si è tradotta in un massiccio appoggio al Partito Repubblicano nelle elezioni di medio termine.

Le corporation americane, insomma, vogliono un presidente democratico ancora più attento ai loro appetiti ed è ciò che appunto Obama ha promesso loro, inaugurando una nuova stagione di favori al business USA, preannunciata da iniziative come il recentissimo pacchetto di sgravi fiscali o il trattato di libero scambio appena siglato con la Corea del Sud. A sparire dai discorsi di Obama saranno anche le sfuriate puramente di facciata contro l’irresponsabilità delle multinazionali, destinate solo a tener buona la base sempre più sfiduciata degli elettori democratici.

I finanziamenti milionari elargiti dalle grandi compagnie risultano d’altra parte fondamentali per assicurarsi qualsiasi successo elettorale nel sistema politico degli Stati Uniti. Obama e i suoi strateghi sono ben consapevoli che l’eventuale rielezione nel 2012 dipenderà perciò in gran parte dal denaro sborsato dalle corporation e che riusciranno a dirottare nuovamente verso la sponda democratica.

In ogni caso, sostenere che alla Casa Bianca sia in corso soltanto adesso una svolta pro-business, appare quanto meno discutibile, dal momento che la salvaguardia del profitto delle corporation fa parte del DNA del Partito Democratico e dello stesso Obama. Da qui in avanti, però, c’è da attendersi anche un cambiamento nella retorica del presidente, come già dimostrano numerose dichiarazioni pubbliche dell’ultimo periodo.

Più volte di fronte alla stampa americana, Obama ha tenuto a sottolineare la sua fiducia senza riserve nell’iniziativa privata e nel libero mercato come motori della crescita e del benessere economico, dimenticando qualche effetto collaterale come il continuo deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e della classe media, la disoccupazione dilagante e tutte le altre conseguenze della peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione.

La simbiosi tra Obama e i vertici delle multinazionali è risultata evidente persino dall’unico motivo di scontro apparente nel corso del summit. Il presidente si sarebbe cioè lamentato di come nel recente passato alcuni esponenti delle maggiori compagnie americane avessero criticato pubblicamente la politica economica della Casa Bianca dopo che in privato avevano manifestato invece un accordo praticamente completo. Ciò non fa altro che confermare, al di là delle dichiarazioni ufficiali, a quali interessi faccia riferimento Obama nella sua azione di governo.

In un’uscita involontariamente ironica, poi, pochi minuti prima dell’appuntamento con presidenti e CEO, il presidente ha detto ai giornalisti in attesa del suo arrivo che si augurava di carpire qualche idea dai suoi ospiti per rimettere in carreggiata l’economia americana. Tra i destinatari della battuta di Obama, nessuno ovviamente ha fatto notare come la politica economica della sua amministrazione sia già interamente dettata dalle persone che si stava apprestando ad incontrare.

Al termine del vertice, alcuni dei rappresentanti più autorevoli del capitale americano hanno elogiato la disponibilità mostrata dal presidente ad operare di comune accordo con loro. Appresa la lezione della batosta di medio termine e con una partnership con i poteri forti così ristabilita, Obama si appresta allora a cominciare una seconda parte di mandato cruciale per la sua rielezione nel 2012. Se a beneficiare del nuovo corso saranno sempre i soliti, a pagarne il conto si ritroveranno ugualmente quegli stessi americani che in questi due anni hanno sofferto maggiormente delle mancate promesse del presidente democratico.

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