Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Giuliano Luongo

La bomba fatta esplodere nei pressi della cattedrale di S. Marco ad Alessandria d’Egitto, durante la messa di mezzanotte, ha riportato l’attenzione sulla situazione dei cristiano copti in Egitto. La posizione dell’autoproclamatosi monarca Mubarak e la reazione dell’Occidente europeo, hanno partorito la rapida creazione di un “fronte per la difesa della cristianità”. Sembra essere questo, infatti, il prossimo obiettivo in agenda dei conservatori europei, in particolare di quelli nostrani, mentre s’infiamma la polemica a distanza tra i più alti rappresentanti religiosi delle fazioni coinvolte.

I copti (termine di origine greca che significa semplicemente “egizi”) sono una minoranza cristiana presente in Egitto dal I secolo d.C., vicini al Papa di Roma, ma con molti punti di contatto con l’ortodossia cristiana orientale. Sebbene i numeri non siano né certi né aggiornati, si stima siano poco più del 10% della popolazione egiziana (il governo fissa la cifra all’8%). La convivenza ha sempre oscillato tra alti e bassi, secondo l’estremismo dell’opposta fazione, sia in maniera violenta e diretta, sia in maniera più subdola: un tipico esempio è quello dei rapimenti di donne copte fatte convertire forzosamente all’Islam per poi finire in spose ad uomini islamici.

Nel ‘900, il punto di minimo tra le relazioni interreligiose si ebbe durante il periodo Sadat (’70-’81): proprio nel 1981, un gruppo di fondamentalisti islamici uccise 17 cristiani e ne ferì circa 100. Il presidente dimostrò di essere lievemente di parte, facendo arrestare il patriarca copto Shenouda III ed insabbiando l’accaduto.

L’attentato di capodanno non sembra essere stato un attacco del tutto imprevisto, dato che ben due settimane prima un’affermazione presente su di un noto sito web di estremisti islamici elencava una lista di venti siti copti da colpire, tra i quali figurava proprio la chiesa di S. Marco.

E’ stata, come da copione, paventata una connessione con Al Qaeda: “Lo Stato Islamico dell’Iraq”, organizzazione fondamentalista irachena, dichiarava il 1° novembre 2010 sul suo sito che quale tutti i cittadini cristiani del Medio Oriente sono da considerarsi “bersagli legittimi”, con il pretesto di supposte conversioni forzate dall’Islam al Cristianesimo avvenute a luglio 2010.

Proprio poche ore prima dell’esplosione una folla di manifestanti islamici radunatisi alla moschea di Kayed Gohar aveva ripetuto gli stessi slogan anti-cristiani attribuiti ai noti estremisti.

Dell’attentato in sé si è già detto fin troppo, mentre ancora non c’è accordo tra i reporter sulle modalità dell’assalto (dal kamikaze all’autobomba, al kamikaze nell’autobomba) ben pochi si sono presi la briga di ricordare che sia stato il peggior attacco alla comunità copta dal 2000 a questa parte (secondo massacro di Kosheh, 02/01/2000, 21 vittime), di vedere un interessante schema nel colpire a gennaio, o semplicemente di fare una lista degli ultimi attacchi per cercare di capirci qualcosa.

Nel maggio 2009, un tentativo di attacco con due ordigni non fece vittime (uno dei due venne disinnescato dalla polizia dopo l’esplosione del primo). Seguì il massacro di Nag Hammadi, 6 gennaio 2010: sei cristiani ed un poliziotto musulmano furono uccisi da un gruppo di fuoco all’esterno di una chiesa del Cairo, durante le celebrazioni del Natale ortodosso. Ne scaturirono numerose proteste da ambo le parti, con gli scaricabarile e gli incendi di rito di case e beni materiali.

L’evento portò, oltre ai citati danni alla proprietà privata e al demanio, alla pubblicazione di una serie di studi sull’escalation di violenza ai danni della comunità copta, elencando una lunga serie d’incidenti avvenuti tra il 2008 ed il 2009. L’impatto del testo è comunque da considerarsi mediocre, nonostante gli interessanti contenuti. Ciò che è accaduto in seguito è cronaca recente: dopo le “picconate” degli estremisti iracheni, il 24 novembre le violenze interreligiose riprendono. Motivo: lo stop alla costruzione di un nuovo edificio di culto cristiano. Dopo una prima manifestazione alquanto violenta dei cristiani, se ne innesca un’altra di forza eguale e contraria da parte dei musulmani. Bilancio: due cristiani morti e ben 150 arresti nelle due fazioni.

Mentre sullo sfondo - o meglio, al centro del palco - si alimenta la protesta copta, aumentano le illazioni sui possibili mandanti dell’attentato. Gli attacchi si protraggono da molti anni a questa parte e si concentrano nelle principali festività copte/ortodosse, anche da prima del grande arrivo sulle scene di Al Qaeda. La tesi del coinvolgimento dell’organizzazione di Osama bin Ladin è infatti scartata da numerosi analisti, anche provenienti dal mondo arabo: si punta il dito soprattutto sugli stessi agenti governativi, nell’ottica di una strategia “sottile” al fine di fiaccare la scomoda minoranza religiosa.

Sarebbe facile per il governo, infatti, accusare “criminali stranieri”, fingere di prendersi cura del problema e lasciare la sola fuga come alternativa per la comunità cristiana. Di certo, il presidente Mubarak non ha brillato per reattività, accusando appunto i suddetti “elementi stranieri” e parlando genericamente di perseguire i colpevoli, ma di pratico c’è ben poco. A livello internazionale, le reazioni di politici e non rendono il tutto ancora più interessante: se il Papa fa il suo mestiere, denunciando in toto le violenze - in particolare alla luce degli attacchi alle comunità cristiane in altre parti del mondo - colpisce molto di più quanto detto dai politici.

Ancora esaltato dalle minacce al Brasile, il nostro Frattini è sceso in prima linea invocando l’attivazione del Parlamento Europeo per imporre ai paesi negligenti nella tutela dei cristiani una serie di sanzioni: si è parlato di “passare all’azione” anche se finora è tutto ancora definito nell’aria fritta. L’arma definitiva dovrebbe essere quella dell’aiuto “in cambio di diritti”: secondo il Ministro, i paesi in via di sviluppo che non collaborano alla tutela dei diritti dei cristiani sul loro territorio potrebbero veder svanire il supporto economico occidentale, mentre quelli più attivi potrebbero ricevere addirittura incentivi da parte dell’Europa.

Inutile dire che da Bruxelles ancora si tace riguardo a questo, ma tale scenario apre numerose illazioni anche dal punto di vista degli analisti: legare la tutela dei diritti umani ad un do ut des economico non potrebbe avere risvolti dannosi? Come si potrebbe misurare praticamente l’impegno a “difendere i cristiani? Sa molto di “impegno libico a difendere il mare dai migranti”; i brillanti risultati li conosciamo tutti.

 

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