La sfida dei BRICS all’Occidente

di Fabrizio Casari

Per due giorni, il 24 e il 26 ottobre, la città russa di Kazan ospiterà il vertice dei BRICS. I partecipanti chiedono una riforma democratica e inclusiva delle organizzazioni monetarie, finanziarie e commerciali per affrontare i gravi squilibri globali. Al centro del processo di aggregazione dei BRICS c'è, infatti, la riscrittura delle regole sistemiche che implica una profonda riforma del...
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BRICS, cose dell'altro mondo

di Fabrizio Casari

Sarà la città russa di Kazan ad ospitare il prossimo Vertice dei paesi BRICS+ che si terrà dal 22 al 24 Ottobre. Parteciperanno 32 paesi, 24 dei quali saranno rappresentati dai loro rispettivi Capi di Stato, a sancire il valore strategico di un Vertice che sembra tracciare una linea netta che separa il prima dal poi, ovvero l’ordine nascente democratico e multipolare che spinge indietro quello unipolare a rappresentazione imperiale. Dall’Algeria all’Indonesia, dal Nicaragua a Cuba, al Kazakistan, almeno altri 40 paesi hanno fatto richiesta formale di adesione. Significativa ma necessaria di diverse valutazioni quella della Turchia, Paese appartenente alla NATO, della quale è il secondo esercito più potente. Ad oggi, intanto, il...
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di Michele Paris

A mettere in atto politiche migratorie discriminanti e antidemocratiche sono ormai la maggior parte dei paesi cosiddetti sviluppati. A questa regola non sfuggono nemmeno gli Stati Uniti, il cui trattamento degli immigrati alla ricerca di una possibilità di riscatto nel paese più ricco del pianeta ha dovuto incassare in questi giorni pesanti critiche da un autorevole organismo internazionale.

A presentare il proprio rapporto di 155 pagine, intitolato “Immigrazione negli Stati Uniti: detenzione e giusto processo”, è stata la Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani, ente che fa parte dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Lo studio è stato avviato nel 2008 e si propone di analizzare l’implementazione della politica migratoria e detentiva del governo federale. I ricercatori della Commissione nel luglio del 2009 hanno avuto anche la possibilità di visitare direttamente sei centri di detenzione per immigrati situati in Texas e in Arizona.

Il quadro che ne esce appare tutt’altro che adeguato a quello di un paese democratico. Secondo la Commissione, è evidente la “mancanza di un autentico sistema civile di detenzione, nel quale le condizioni generali rispondano a criteri di rispetto della dignità umana”.

Dalla ricerca emerge chiaramente la mancanza di garanzie nel trattamento degli immigrati negli USA. Tra le carenze più gravi del sistema ci sono l’inadeguato accesso ai rappresentanti legali, un’assistenza sanitaria insufficiente e, soprattutto, l’eccessivo e sproporzionato ricorso alla detenzione. Tutto il sistema si affida poi in maniera eccessiva ad appaltatori privati che gestiscono le pratiche migratorie e la stessa detenzione, per non parlare delle azioni intraprese dalle forze di polizia locali che frequentemente arrestano immigrati illegali con il pretesto di investigare crimini di altra natura.

Più in generale, secondo la Commissione il governo federale non è in grado di garantire l’adeguata applicazione delle leggi federali sull’immigrazione, lasciando campo libero alle autorità delle singole contee e dei singoli stati, con tutti i possibili eccessi e abusi che ne possono seguire. Molti dei punti critici del sistema di controllo dell’emigrazione negli Stati Uniti, come ha ricordato la Commissione stessa, erano già stati evidenziati da uno studio dell’ottobre 2009 del Dipartimento della Sicurezza Interna, il ministero incaricato di gestire le questioni riguardanti l’immigrazione, anche se a tutt’oggi non si vedono risultati concreti.

Dalla ricerca stilata dall’organo dell’OSA che si occupa dei diritti umani nel continente americano appare sufficientemente chiaro come la detenzione sia il mezzo più semplice per gestire le problematiche legate all’immigrazione. Allo stesso modo, questo trattamento generalizzato finisce per criminalizzare gli stessi immigrati, contribuendo ad alimentare un sentimento xenofobo in un paese nato precisamente dal multiculturalismo e da movimenti migratori di massa.

Nelle parole della Commissione, la detenzione appare come una “misura sproporzionata” nella maggior parte dei casi, mentre misure alternative alla custodia in carcere rappresenterebbero “un mezzo più equilibrato anche per garantire i legittimi interessi dello stato e il rispetto delle leggi sull’immigrazione”.

Nel rispondere alla pubblicazione del rapporto della Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani, l’amministrazione Obama ha evitato di entrare nel merito delle accuse sollevate. Piuttosto, il governo americano ha evidenziato come, a partire dal 2009, abbia avviato un piano generale di riorganizzazione dell’intero sistema. Tra le misure allo studio ci sarebbero la delega di maggiori poteri nell’ambito dell’immigrazione ad un’unica autorità centralizzata e il rinnovamento dei centri di detenzione per renderli più adeguati alla custodia di quanti attendono la deportazione nei loro paesi d’origine.

A proposito di questi piani di riforma, il presidente della Commissione, Felipe González, si è tuttavia dimostrato a dir poco pessimista. “Secondo le informazioni che abbiamo raccolto finora”, ha detto González, “non è chiaro se le misure siano state effettivamente adottate o se possano soddisfare i criteri internazionali per il rispetto dei diritti umani”. Il diplomatico cileno si è dimostrato scettico anche sulla capacità degli Stati Uniti di garantire agli immigrati condizioni di custodia adeguate alle violazioni esclusivamente di carattere amministrativo di cui sarebbero accusati.

La Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani ha sede a Washington e il rispetto che si è guadagnata fin dalla sua istituzione nel 1959 per le indagini su numerose violazioni dei diritti umani nel continente garantisce un certo perso alla sua più recente ricerca. Ciononostante, appare difficile credere che le raccomandazioni indirizzate al governo americano possano trovare accoglimento in un momento in cui il presidente Obama, a pochi mesi dall’avvio della campagna elettorale per la rielezione, si trova costretto a fare i conti con un rinvigorito Partito Repubblicano che per convenienza politica continua a fare appello agli istinti xenofobi diffusi tra la popolazione americana.

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