Rafah e le macerie della tregua

di Michele Paris

Dopo settimane trascorse ad accusare Hamas di non volere accettare un accordo per la liberazione degli “ostaggi” che avrebbe messo fine alla guerra nella striscia di Gaza, il regime israeliano di Netanyahu ha scatenato l’annunciata offensiva nella località di Rafah letteralmente poche ore dopo che il movimento di liberazione palestinese aveva dato il proprio consenso all’accordo sul...
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Gaza, gli scogli della tregua

di Michele Paris

L’attitudine dei vertici di Hamas nei confronti dell’ultima proposta di tregua avanzata da Israele sembra essere improntata a un’estrema cautela. Il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza ha fatto sapere nelle scorse ore che restano ancora elementi ambigui nella bozza sottoposta con la mediazione egiziana, anche se le trattative sono tuttora in corso e il documento potrebbe essere il punto di partenza per una “seria discussione”. È abbastanza chiaro che Washington e Tel Aviv puntino quanto meno a mettere in pausa il massacro di palestinesi nella striscia. Le manovre attorno alla proposta per un cessate il fuoco nasconde però il tentativo di garantire una qualche copertura al regime di Netanyahu, il quale ha...
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di Michele Paris

Un anno fa di questi tempi, gli Stati Uniti erano alle prese con la colossale fuoriuscita di petrolio causata dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, gestita dalla BP nel Golfo del Messico. A seguito del più  grave incidente di questo genere mai avvenuto sul suolo americano, nel paese si era diffusa un’ondata di proteste nei confronti delle compagnie petrolifere, accusate di mettere i loro profitti davanti alle norme di sicurezza e al rispetto dell’ambiente. La stessa Casa Bianca aveva messo in atto una moratoria sulle trivellazioni dei pozzi ritenuti più pericolosi e, allo stesso tempo, aveva vincolato il rilascio di nuovi permessi all’implementazione di una serie di regole più severe sulla sicurezza.

Alle nuove norme si era accompagnato un tacito accordo sulla rinuncia ad aprire alle esplorazioni petrolifere nuove aree costiere degli Stati Uniti, revocando così la promessa che il presidente Obama aveva fatto alle compagnie private solo poche settimane prima dell’incidente.

Ora, a oltre un anno di distanza, durante il suo intervento radiofonico settimanale, qualche giorno fa lo stesso Obama ha invece annunciato imminenti iniziative volte a promuovere i già sostanziosi profitti dell’industria petrolifera e a fare potenzialmente scempio di ampie aree al largo delle coste americane. La decisione dell’amministrazione democratica, oltre ad assicurare incentivi fiscali alle compagnie, consentirà nuove esplorazioni non solo nel Golfo del Messico ma anche nell’Oceano Atlantico e, soprattutto, in Alaska, dove sono in molti a sollevare timori per la fragilità dell’ecosistema.

A giustificazione dell’ennesima marcia indietro della sua amministrazione, Barack Obama ha citato la necessità di fare qualcosa per fronteggiare l’impennata dei prezzi dei carburanti e di ridurre le importazioni di petrolio aumentando la produzione domestica. Malgrado i proclami, le nuove concessioni richiederanno svariati anni per contribuire in maniera significativa al fabbisogno energetico statunitense, mentre il sollievo per le tasche degli automobilisti sarà praticamente nullo.

Tra gli altri provvedimenti in arrivo c’è poi l’estensione automatica di un anno delle concessioni già assegnate alle compagnie petrolifere nel Mare Glaciale Artico e nel Golfo del Messico, così da compensare la moratoria imposta dopo il disastro dello scorso anno. Obama ha inoltre promesso l’accelerazione degli studi sull’impatto ambientale di eventuali nuovi pozzi nell’Oceano Atlantico, dove l’attuale legislazione proibisce trivellazioni almeno fino al 2018.

Ancora più significative sono infine la riduzione delle “royalties” da corrispondere al governo per le compagnie che inizieranno l’estrazione di petrolio entro tre anni dall’ottenimento delle concessioni e gli incentivi per quelle che avvieranno le trivellazioni dei pozzi già concessi in passato ma tuttora in attesa di essere sfruttati.

A suscitare particolare apprensione sono in particolare le operazioni che potrebbero essere presto avviate presso la costa settentrionale dell’Alaska. Qui si trova infatti la cosiddetta Riserva Petrolifera Nazionale dell’Alaska, un’area di quasi cento mila chilometri quadrati dove nidificano milioni di uccelli migratori e vivono numerose altre specie animali. In questa riserva, dove cacciano e pescano le popolazioni indigene, attualmente non ha luogo alcuna attività estrattiva.

Secondo i piani dell’amministrazione Obama, già nel 2011 verrà rilasciata una concessione per le trivellazioni in quest’area, a cui se ne aggiungeranno altre due il prossimo anno. L’apertura alle estrazioni in questa regione dell’Alaska è stata fortemente voluta sia dalle compagnie petrolifere, sia dai due senatori dello stato, la repubblicana Lisa Murkowski e il democratico Mark Begich.

Assieme a queste misure, Obama ne ha annunciate altre che dovrebbero teoricamente contenere gli aumenti dei prezzi dei carburanti e penalizzare le stesse compagnie petrolifere. Ben poco di concreto potrà però fare la task force istituita presso il Dipartimento di Giustizia che dovrebbe indagare su possibili manipolazioni del mercato e sull’eccessiva speculazione. Ugualmente inefficace sarà anche lo sforzo promesso di tagliare benefici fiscali pari a quattro miliardi di dollari riservati annualmente alle stesse multinazionali private.

L’impegno del presidente fa il paio con un progetto di legge presentato dai democratici al Senato nel tentativo di presentarsi come strenui oppositori dei giganti del petrolio. Il partito di maggioranza al Senato ha infatti presentato una proposta per sopprimere gli incentivi fiscali riservati a questi ultimi e che ammontano a 21 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni. Il progetto di legge non ha alcuna possibilità di essere approvato, dal momento che incontra l’opposizione compatta dei repubblicani, in maggioranza alla Camera dei Rappresentanti e numericamente in grado di ostacolare ogni iniziativa dei democratici anche al Senato.

Con l’aumentare del malcontento tra la popolazione americana, i tagli alle tasse per compagnie petrolifere che stanno incassando miliardi di dollari in profitti sono da qualche tempo al centro del dibattito politico. La settimana scorsa, ad esempio, i vertici delle principali aziende del settore energetico sono stati convocati dalla Commissione Finanze del Senato, di fronte alla quale hanno assistito alle sfuriate di alcuni democratici. Nonostante siano stati messi per qualche ora alla berlina, i manager hanno comunque lasciato il Campidoglio con la certezza che da Washington che non verrà adottata alcuna iniziativa ostile nei loro confronti.

Il vento, anzi, sembra soffiare ancor più a loro favore, come dimostra il passaggio alla Camera di tre progetti di legge nelle ultime due settimane che vanno ben al di là dei provvedimenti annunciati da Obama sull’apertura alle esplorazioni on e off-shore negli Stati Uniti. Proprio l’accelerazione voluta dai repubblicani sulle trivellazioni, nonostante le smentite della Casa Bianca, sembra aver convinto il presidente democratico a promettere maggiori spazi di manovra alle compagnie del petrolio.

Una mossa, da parte di Obama, che s’inserisce in una strategia avviata almeno a partire dalla batosta elettorale nelle elezioni di medio termine dello scorso novembre e che, a fronte di un sentimento di ostilità per i poteri forti ampiamente diffuso tra la popolazione, riflette lo sforzo di conquistare il consenso dei grandi interessi economici e finanziari del paese per assicurarsi le risorse necessarie a condurre una imminente e costosissima campagna per la rielezione.

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