Gaza, gli scogli della tregua

di Michele Paris

L’attitudine dei vertici di Hamas nei confronti dell’ultima proposta di tregua avanzata da Israele sembra essere improntata a un’estrema cautela. Il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza ha fatto sapere nelle scorse ore che restano ancora elementi ambigui nella bozza sottoposta con la mediazione egiziana, anche se le trattative sono tuttora in corso e il documento potrebbe...
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Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto per la prima volta dall'allora primo ministro Boris Johnson nell'aprile 2022, avrebbe dovuto essere approvato in via definitiva già la scorsa settimana, ma una serie di emendamenti alla legislazione, proposti dai “pari” alla Camera dei Lord, ne aveva rallentato nuovamente l’iter. Il primo ministro Rishi Sunak ha dichiarato che, se...
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di Michele Paris

Con una vittoria a valanga nelle elezioni di domenica scorsa, il principale partito di opposizione in Thailandia ha conquistato la maggioranza assoluta nel Parlamento di Bangkok. Il voto anticipato chiude una tormentatissima fase politica nel paese del sud-est asiatico e conferma l’ampiezza di consensi su cui può tuttora contare il popolare ex-premier in esilio Thaksin Shinawatra, la cui sorella minore, Yingluck, sarà chiamata a guidare il nuovo governo in un prossimo futuro che si annuncia pieno di incertezze.

Secondo i dati ufficiali, il partito di opposizione Pheu Thai si è assicurato 265 dei 500 seggi che compongono la Camera bassa del Parlamento thailandese. Nonostante la possibilità di formare un nuovo gabinetto in tutta autonomia, il primo ministro in pectore ha annunciato lunedì la sua intenzione di dar vita ad una coalizione di governo assieme ad altri quattro partiti minori.

Oltre a rafforzare una compagine governativa che dovrà affrontare sfide e resistenze durissime, la mossa di Yingluck Shinawatra è stata suggerita probabilmente dalla dichiarazione ufficiale della commissione elettorale tailandese poche ore dopo il voto. La commissione, infatti, ha rivelato di aver avviato indagini su possibili brogli che potrebbero portare all’esclusione di alcuni candidati del partito uscito vincitore dalle urne e ridurne così i seggi conquistati. I risultati definitivi saranno comunque resi noti tra non meno di un mese.

Il grande sconfitto dell’elezione di domenica è invece il Partito Democratico del premier in carica, Abhisit Vejjajiva, capace di ottenere appena 159 seggi. In seguito alla batosta elettorale, Abhisit ha presentato le proprie dimissioni da leader di un partito tradizionalmente espressione dell’establishment militare, della casa reale e della borghesia urbana.

A installare la 44enne imprenditrice senza precedenti esperienze politiche - Yingluck Shinawatra - al vertice del partito Pheu Thai, era stato il fratello ex premier, che da qualche anno vive a Dubai per sfuggire ai procedimenti legali intentati nei suoi confronti in Tailandia. Thaksin Shinawatra era stato rimosso dal potere con un colpo di stato militare, approvato tacitamente da Washington, nel settembre del 2006, in seguito al quale è stato appunto messo sotto accusa per abuso di potere e corruzione.

Leader populista e businessman miliardario nel settore delle telecomunicazioni, Thaksin aveva trionfato nelle elezioni del 2001 e del 2005. Il suo successo era dovuto principalmente alla promessa di ribaltare le politiche di rigore imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali dopo la crisi che aveva colpito l’Asia sud-orientale tra il 1997 e il 1998.

Grazie a programmi sociali relativamente generosi, sussidi ai contadini e la garanzia di un’assistenza sanitaria gratuita, Thaksin si era assicurato il sostegno dei ceti più poveri nelle città e nelle regioni rurali tailandesi. La sua azione politica - condotta in maniera sempre più autoritaria - aveva suscitato la dura reazione dei tradizionali centri di potere del paese, costituiti dall’apparato militare, dalla casa regnante e dalle classi più agiate della capitale.

Dopo il golpe, dunque, le nuove elezioni del 2007 avevano ancora una volta consegnato la maggioranza ai sostenitori di Thaksin. I due successivi primi ministri furono però deposti da altrettante sentenze giudiziarie politicizzate, così come due decisioni della Corte Costituzionale tailandese dissolsero per frode elettorale i partiti facenti capo all’ex premier - Thai Rak Thai (TRT) e Partito del Potere Popolare (PPP) - rispettivamente nel maggio del 2007 e nel dicembre dell’anno successivo.

Sempre nel 2008, in seguito alle manovre dei poteri forti del paese, venne così installato alla guida del governo Abhisit Vejjajiva del Partito Democratico. La sua ascesa fu resa possibile solo dal sostegno ottenuto in Parlamento di un certo numero di deputati usciti dal partito di Thaksin, oggetto delle pressioni dei militari e degli ambienti reali.

I metodi profondamente anti-democratici con cui venne manipolato il quadro politico della Thailandia fu alla base dell’esplosione delle proteste di piazza delle cosiddette “camicie rosse”, raggruppate nel “Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura” (UDD). Nella primavera del 2010, i manifesti, provenienti in gran parte dalle aree rurali del nord del paese, bloccarono per settimane il centro di Bangkok, chiedendo le dimissioni del governo e le elezioni anticipate. La risposta del premier e delle forze di sicurezza fu però molto dura e si risolse in una repressione che causò oltre novanta morti.

Le persistenti richieste delle “camicie rosse”, come ha confermato il voto dell’altro giorno, riflettono i cambiamenti avvenuti nell’ultimo decennio all’interno della società tailandese, dove ampi strati della popolazione non sono ormai più disposti a rimanere esclusi da un sistema di potere fondato su una ristretta élite. Un’evoluzione, questa, favorita dalle politiche implementate dallo stesso Thaksin Shinawatra durante gli anni di governo e che la sorella Yingluck, prossimo primo premier donna nella storia del paese, sarà chiamata ad incanalare tra mille difficoltà verso un futuro privo di conflitti.

La sfida per la neo-premier sarà la riconciliazione con le forze armate, così da evitare un nuovo colpo di stato. Le voci di un possibile ribaltamento dell’esito del voto da parte dei militari si erano inseguite alla vigilia delle elezioni, anche se la chiarissima vittoria del partito Pheu Thai e la maggioranza assoluta conquistata in Parlamento renderanno ora più difficile un colpo di mano dell’esercito. Per smorzare i toni, in ogni caso, Yingluck Shinawatra aveva già provveduto ad escludere dal proprio programma qualsiasi provvedimento di amnistia per il fratello in caso di successo.

Secondo la testata on-line Asia Times, inoltre, rappresentanti della casa reale e delle forze armate avevano già trovato un accordo con gli emissari di Thaksin per un’evoluzione pacifica del dopo voto. Fiutando una sconfitta del Partito Democratico del premier Abhisit, i militari avrebbero offerto a Yingluck Shinawatra la possibilità di formare il governo senza ostacoli, in cambio della rinuncia a perseguire i responsabili della repressione delle proteste dello scorso anno.

Thaksin, secondo l’ipotetico patto, dovrebbe impegnarsi anche a non intervenire nell’annuale rimpasto dei vertici dell’esercito e a tenere sotto controllo l’agguerrita fazione anti-monarchica delle “camicie rosse”. Forse proprio a conferma dell’intesa raggiunta, il ministro della Difesa uscente ha confermato pubblicamente lunedì che l’esercito non interverrà per modificare il risultato delle elezioni.

Al di là degli immediati sviluppi, appare difficile che il voto di domenica possa risolvere a breve le contraddizioni della società tailandese e i profondi conflitti che la attraversano. Thaksin, oltretutto, rimane una figura molto controversa nel Paese e le sue dichiarazioni appassionate dall’esilio subito dopo il successo del partito Pheu Thai confermano che sarà in sostanza la sua mano a manovrare l’azione di governo della sorella premier.

A complicare le cose c’è infine la possibile destabilizzazione causata dalla crescente rivalità sino-americana in Asia sud-orientale, soprattutto alla luce del rinnovato interventismo dell’amministrazione Obama in questa parte del globo. La Thailandia è uno storico alleato degli Stati Uniti ma, come altri paesi in quest’area, negli ultimi anni ha intensificato le relazioni con Pechino, in particolare in ambito commerciale.

Lo stesso ex premier Thaksin aveva cercato di bilanciare i rapporti tra le due potenze, appoggiando, da un lato, la guerra al terrore post-11 settembre dell’amministrazione Bush e, dall’altro, favorendo gli investimenti cinesi in Thailandia e allargando la cooperazione militare con il potente vicino settentrionale. Un equilibrismo interrotto dal colpo di stato che lo depose cinque anni fa ma che ha continuato a caratterizzare i governi che si sono succeduti da allora e con cui anche il nuovo esecutivo dovrà ben presto fare i conti.

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