Trump-GB, sudditi e complici

di Mario Lombardo

L’accoglienza con tutti gli onori riservata nel Regno Unito al presidente americano Trump contrasta fortemente con le proteste che stanno accompagnando la sua seconda visita di stato in questo paese dopo quella, altrettanto controversa, del 2019. La stampa ufficiale, nell’analizzare la trasferta di due giorni dell’inquilino della Casa Bianca, ha insistito sulla distanza presumibilmente...
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Kirk: dall’omicidio alla repressione

di Michele Paris

L’assassinio di settimana scorsa in un campus universitario dello Utah dell’attivista trumpiano di estrema destra, Charlie Kirk, sta diventando la giustificazione per una nuova stretta repressiva dei diritti democratici in America e di un’autentica caccia alle streghe tra gli oppositori dell’amministrazione repubblicana. Senza attendere dettagli più precisi sugli (eventuali) orientamenti politici e sulle motivazioni del presunto responsabile, il 22enne Tyler Robinson, molti esponenti del partito del presidente e membri del suo stesso governo lo hanno classificato come un “radicale di sinistra”, denunciando automaticamente il dilagare della violenza negli Stati Uniti per opera di individui riconducibili a questi ambienti. È...
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di Michele Paris

Il Parlamento israeliano ha approvato in via definitiva una nuova legge che comprime la libertà di espressione nel paese e legittima gli insediamenti nei territori occupati, ritenuti illegali secondo il diritto internazionale. La “Knesset” ha infatti licenziato nella giornata di lunedì un provvedimento che trasforma in reato civile il solo appello al boicottaggio contro lo stato di Israele e i suoi insediamenti.

Quello che per gli oppositori della nuova legge non è altro che un ulteriore passo verso una preoccupante deriva anti-democratica di Israele, è stato approvato con 47 voti a favore e 38 contrari. La misura, definita “Boycott Prohibition Law”, colpirà chiunque inviterà al boicottaggio economico, culturale e accademico dello stato di Israele, delle sue istituzioni e di qualsiasi area sotto il suo controllo. Una definizione quest’ultima che fa riferimento agli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati.

Nelle dichiarazioni ufficiali, gli esponenti della maggioranza hanno sostenuto che la legge sarà uno strumento per combattere la campagna di delegittimazione in atto nei confronti di Israele. Una delegittimazione agli occhi del mondo che il governo israeliano contribuisce peraltro ad autoinfliggersi, come confermano iniziative come quella appena approvata.

Ad ogni modo, coloro che violeranno la nuova legge potranno andare incontro a sanzioni economiche, mentre aziende o organizzazioni che sosterranno un boicottaggio saranno a rischio di esclusione dalle aste per gli appalti pubblici. Allo stesso modo, le ONG potranno perdere i benefici fiscali di cui godono attualmente.

A presentare il testo di legge in Parlamento è stato il deputato Ze’ev Elkin del partito del premier Netanyahu (Likud), uscito dalla formazione centrista Kadima nel 2008 perché trasformatasi ormai, a suo parere, in un partito “di sinistra”. Alla votazione di lunedì erano assenti sia lo stesso Netanyahu che il ministro della Difesa Ehud Barak e altri esponenti di spicco del governo.

Le discussioni sull’opportunità di presentare una misura di questo genere erano state molto accese alla vigilia del voto. Lo speaker della Knesset, Reuven Rivlin del Likud, aveva ad esempio espresso non poche perplessità sui contenuti della legge e alcuni suoi emendamenti per attenuarne l’impatto sono stati poi bocciati in aula. Ancora più ferma era stata l’opposizione del consigliere legale del parlamento, Eyal Yinon, il quale aveva definito la legge al limite della costituzionalità e affermato senza mezzi termini che avrebbe minato la libertà di espressione.

Nonostante l’assenza, Netanyahu aveva dato il suo pieno appoggio alla legge. Nella giornata di domenica, il primo ministro si era incontrato con lo stesso Rivlin e il primo firmatario del provvedimento, il deputato Elkin, per discuterne il percorso parlamentare. Liquidando gli avvertimenti del vice-premier, Dan Meridor, per possibili ripercussioni negative sulla riunione del cosiddetto Quartetto per la pace in Medio Oriente (USA, UE, Russia e Nazioni Unite), andata in scena proprio lunedì a Washington, il capo del governo israeliano alla fine non ha riscontrato alcun motivo per ritardare il voto in Parlamento.

Gli appelli al boicottaggio di Israele e delle sue compagnie - in particolare quelle operanti nei territori occupati - si sono moltiplicati negli ultimi anni e hanno avuto come protagonisti sia palestinesi che attivisti israeliani. Numerosi artisti e intellettuali stranieri si sono poi rifiutati di esibirsi o tenere conferenze in Israele per protestare contro la politica di Tel Aviv nei confronti dei palestinesi. L’indignazione a livello internazionale era cresciuta soprattutto in seguito all’assalto condotto dalle forze di sicurezza israeliane nel maggio del 2010 contro sei navi di attivisti dirette a Gaza per rompere l’assedio nella Striscia e che fece nove morti.

Sul fronte interno, gli appelli al boicottaggio sono stati spesso clamorosi. Lo scorso anno, ad esempio, un gruppo di artisti di teatro si rifiutò di esibirsi in un nuovo centro culturale costruito nell’insediamento illegale urbano di Ariel, in Cisgiordania centrale. Successivamente, molti altri accademici, scrittori e intellettuali israeliani hanno scelto di disertare corsi e lezioni ad Ariel e in altri insediamenti della Cisgiordania.

A rendere ancora più insensata la legge sul boicottaggio sono le modalità con cui dovrà essere applicata. Secondo il testo del provvedimento, infatti, non sarà necessario provare che un appello al boicottaggio abbia provocato effettivi danni allo stato o a un’istituzione di Israele, bensì sarà sufficiente ipotizzare eventuali danni derivanti da un invito al boicottaggio. Su questa ipotesi un tribunale dovrà valutare potenziali danni economici e imporre un risarcimento.

Contro la legge si sono scagliate le associazioni israeliane per i diritti civili, che hanno immediatamente annunciato un ricorso alla Corte Suprema per chiederne l’annullamento. Secondo il direttore dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele, Hagai El-Ad, questa misura “rappresenta l’apice di una deplorevole ondata di leggi anti-democratiche che sta progressivamente compromettendo le fondamenta democratiche di Israele”.

Le conseguenze negative per l’immagine del paese sono state sottolineate, tra gli altri, dal deputato del partito di centro-sinistra Meretz, Nitzan Horowitz, per il quale la legge è un motivo di “imbarazzo per la democrazia israeliana. In tutto il mondo ci si chiederà se esiste veramente una democrazia nel nostro paese”.

Il deterioramento del clima politico in Israele è andato di pari passo con il crescente disagio della comunità internazionale nei confronti dell’unico (presunto) paese democratico del Medio Oriente. Un’evoluzione che sta portando a sempre più drastiche restrizioni della libertà di espressione e di critica verso il governo, di cui il “Boycott Bill” ne è appunto un esempio.

Come ha sottolineato un duro editoriale del quotidiano Haaretz, la nuova legge dipinge come “atto criminale ogni boicottaggio, petizione o articolo di giornale… I legislatori cercano di cancellare una delle forme più legittime di protesta democratica e di restringere la libertà di espressione e di associazione di quanti si oppongono alla violenza dei coloni”.

“Molto presto”, prosegue l’editoriale della testata progressista israeliana, “ogni dibattito politico verrà messo a tacere. I membri della Knesset che hanno votato per questa legge appoggiano il soffocamento delle proteste nel quadro di uno sforzo teso a liquidare la democrazia. Iniziative di questo genere vengono vendute come necessarie per proteggere Israele ma, in realtà, non fanno altro che aggravare l’isolamento internazionale del Paese”.

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