Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Mario Braconi

Colpo di scena nella telenovela che ruota attorno a Wikileaks e al suo discusso uomo immagine Julian Assange: l’intera massa di 250.000 cablogrammi diplomatici top secret vengono messi a disposizione sul sito della più famosa organizzazione di “whistleblower”. Senza filtri (e fin qui va anche bene) ma anche senza alcuna rielaborazione finalizzata ad impedire l’identificazione delle persone citate nei documenti: informatori, membri di ONG, soldati. “Wikileaks potrebbe avere sulla coscienza qualche giovane soldato americano o una famiglia afgana” tuonò a ottobre 2010 il capo degli stati maggiori della difesa USA Mike Mullen: oggi, questa frase potrebbe non essere solo un’iperbole dettata da esigenze di propaganda.

Bisogna dare un’occhiata all’edizione internazionale di Der Spiegel per capire qualche cosa dell’intricata vicenda. Quando Assange e il Guardian filavano ancora d’amore e d’accordo, Assange fornì una copia (integrale?) dei suoi file top secret a David Leigh, capo della redazione di giornalismo investigativo della testata britannica, comunicandogli anche la frase di sicurezza da digitare per accedervi.

Poco dopo, il responsabile Wikileaks per la Germania Daniel Domscheit-Berg, ai ferri corti con Assange, lascia l’organizzazione con l’intento di fondarne un’altra a suo dire più onesta, OpenLeaks. Senza dimenticare di portarsi via una copia di tutti i documenti collezionati fino ad allora da Wikileaks. Secondo Der Spiegel, Daniel Domscheit-Berg non era al corrente del fatto che, all’interno di quel magazzino indistinto di informazioni si trovava, in una sottocartella difficile da trovare, l’intera raccolta dei cablogrammi diplomatici.

Come spesso accade, a fare danni è l’eccesso di zelo di persone benintenzionate; in questo caso gli amici e i simpatizzanti di Wikileaks, i quali hanno cominciato a condividere i file segreti di Assange e soci sul peer-to-peer Bit-torrent, normalmente impiegato soprattutto per condividere (illegalmente) roba molto più soft, come film e musica. Così, assieme ai file leggibili di Assange, sui computer collegati in Rete di chi era interessato è stata trasferita anche l’intera collezione dei cablogrammi segreti, sia pure protetta dalla famosa frase di protezione passata da Assange a Leigh. Se la versione accreditata dai media fosse confermata, si potrebbe concludere che Assange sia uno sprovveduto che lascia in giro i documenti che costituiscono il suo pane quotidiano; idem Domscheit-Berg, che si porta via il contenuto di un intero server senza accorgersi di quello che c’era dentro, non fa proprio una gran figura.

In ogni caso, la storia si evolve in modo distruttivo a causa di due circostanze sfortunate. Primo, un file, una volta condiviso su Bit-Torrent, non può essere più “ritirato” da chi lo ha messo a disposizione: gli altri utenti che usano il peer-to-peer se lo possono scaricare sull’hard drive, e ovviamente non può essere richiamato.

Questo significa che decine di migliaia di persone (amici di Wikileaks come agenti dei servizi segreti di tutto il mondo, terroristi) hanno avuto a disposizione per mesi i file “segretissimi”. Se si aggiunge il fatto che quella famosa frase di protezione non era poi tanto segreta, si conclude che la pubblicazione ufficiale di Wikileaks dell’intero corpus dei cablogrammi diplomatici “riservatissimi” è più che altro un atto formale.

La questione di quanto fosse facile accedere ai file protetti assume connotati quasi comici: nel libro “Wikileaks: Inside Julian Assange’s War On Secrecy” (“Wikileaks: dentro la guerra di Julian Assange contro la segretezza”), scritto dal capo dell’investigativo del Guardian, David Leigh e da Luke Harding, si racconta del momento in cui Assange decide di passare a Leigh il file, scrivendo la password su un pezzo di carta. Ora la cosa davvero inspiegabile è che nel libro questa password viene citata in modo esplicito. Addirittura, come fa notare l’esperto di comunicazione Nigel Parry nel suo blog, il titolo del capitolo 11 del volume è - esattamente - la password che apre le porte della stanza del tesoro.

L’ultimo capitolo della vicenda Wikileaks lascia molti interrogativi aperti. Innanzitutto, sembra davvero impossibile che due hacker che si presumono esperti come Assange e Domscheit-Berg, si siano comportati in modo tanto superficiale. Inoltre c’è molto da dire sulla deontologia di un giornalista come Leigh che, senza alcuna ragione plausibile, pubblica per esteso l’”apriti sesamo” che dà accesso a una delle più grandi basi di dati d’informazioni riservate al mondo.

Una scelta che può maturare solo per crassa incompetenza condita con narcisismo, a meno che il suo intento fosse proprio quello di dare una dritta ai vari soggetti interessati per consentirgli di mettere le mani sulle informazioni riservate. Da questo punto di vista suona patetica la sua giustificazione, secondo cui l’intesa con Assange era che la password sarebbe stata modificata poco dopo e comunque prima della pubblicazione del libro.

L’ironia è che il giornalista britannico non ha mai mancato di criticare (legittimamente) Assange per la sua superficialità nella gestione delle conseguenze della sua ossessione alla “trasparenza” sulla vita delle persone che compaiono sulle fonti di Wikileaks. Ora si scopre che proprio la superficialità (o l’ignoranza o la malafede) di Leigh possono aver provocato a loro volta dei danni: grazie alla brillante iniziativa di pubblicare per esteso la password, infatti, i cablo decrittati possono essere arrivati a molte persone non sempre benintenzionate.

D’altro canto è bene ricordare, come giustamente fa il Guardian, che il libro su Assange con la password “in offerta” è stato pubblicato a febbraio e quindi non è chiara la ragione per la quale Assange si sia svegliato sette mesi dopo. Quel che è certo è che il caso Wikileaks mostra una realtà dove giusto e sbagliato, grandezze e vanità umane s’intrecciano tra loro in modo quasi inestricabile.

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