Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Mario Braconi

Dei documenti rinvenuti a Tripoli nell’ufficio dell’ex capo dei servizi segreti libici, Moussa Koussa, testimoniano di un periodo (tra il 2002 e il 2004) in cui i “democratici” servizi inglesi e americani facevano squadra i colleghi del sanguinario regime libico. Un terzetto di quelli da barzelletta (“ci sono un inglese, un americano e un libico...”) che, a dispetto delle differenze culturali e politiche, lavorava molto bene quando si trattava di turismo. Più che viaggiare in prima persona, qui si trattava di organizzare vacanze per altri, di solito sospetti terroristi, solitamente restii a lasciare i posti dove si erano rintanati soprattutto quando la destinazione finale era qualche paese nel quale la tortura è lo sport nazionale (tipo la Libia).

Niente di nuovo, il solito modo disinvolto ed ipocrita di combattere il delitto (terrorismo) con altri delitti (rapimento e tortura) che va sotto il nome di extraordinary rendition. Ma questa volta c’è un intoppo: pare che tra i beneficiari dei viaggi-premio per cui vanno famose le intelligence anglosassoni ci sia Abdelhakim Belhadj, conosciuto anche con il nome di guerra Abu Abdallah Sadiq, capo (discusso) del Consiglio Militare di Guerra nell’attuale assetto libico post-Gheddafi.

Belhadj è stato il numero uno del Movimento Libico Islamico (ex Movimento Combattente Libico Islamico), un’organizzazione che, a dispetto dei sospetti legami Al-Quaeda, è risorto di recente grazie agli “alleati”, enfatizzando il suo pedigree anti-Gheddafi e sfumando gli aspetti meno comodi relativi alla sospetta contiguità al terrorismo islamico. Così Belhadj e soci, ieri nemici numero uno, oggi sono nel gruppo dei migliori amici dell’Occidente, pronti a dare una mano a ricostruire la “nuova Libia democratica”.

Belhadj, a dispetto dell’attuale posizionamento tattico a fianco dei “liberatori” occidentali, ha dei conti in sospeso con gli 007 di Sua Maestà e con la CIA. Nel 2004, infatti, mentre si trovava a Kuala Lumpur, tentò di recarsi a Londra via Pechino, usando per l’occasione un passaporto francese: permesso negato, anche se per i cittadini europei che desiderino entrare nel Regno Unito non serve ovviamente alcun visto. Secondo la ricostruzione del Guardian, a quel punto Belhadj decide di giocare (quasi) pulito: va all’ambasciata britannica di Kuala Lumpur ad esprimere la sua intenzione di chiedere asilo politico in Gran Bretagna.

Nuovo viaggio, nuova identità e nuovo passaporto, questa volta marocchino: nuovo scalo, fatale, a Bangkok, dove Belhadj viene fermato dalle autorità tailandesi. Racconta Belhadj come dopo essere stato torturato nello stesso aeroporto da due uomini della CIA, venne deportato in Libia, proprio tra le braccia degli agenti di Gheddafi che non vedevano l’ora di gettargli le braccia al collo.

Se i documenti pubblicati ieri sono autentici, non c’è modo per gli Inglesi di sostenere la loro estraneità a questo episodio di rendition illegale di un sospetto terrorista: a dimostrarlo, l’incauta lettera spedita da Mark Allen - allora capo dell’Antiterrorismo britannico - a Moussa Koussa, finita nelle mani della ONG americana Human Rights Watch. Nella missiva l’acuto dirigente fa i complimenti a Koussa per il dono che gli è stato appena recapitato (la testa del nemico del regime Belhadj). L’orgoglio per il “buon lavoro” svolto dai suoi uomini lo tradisce: ci tiene a precisare che l’intelligence del caso Abu Abdallah [alias di Belhadj] è stata inglese”.

Il testo della lettera, di cui il Telegraph pubblica brevi stralci, è illuminante: “Caro Moussa [...] la cosa divertente è che ho ricevuto dagli americani la richiesta di far transitare le richieste di da Belhadj attraverso personale americano. Io non ci penso neanche. So bene che non sono stato io a pagare il cargo [usato per il trasferimento, pare messo a disposizione dai volenterosi colleghi della CIA]. Ma credo di avere il diritto di trattare direttamente con te su questo tema e ti sono molto grato per l’aiuto che ci stai dando”. Grand’uomo, Allen: costretto alle dimissioni dai servizi a causa dell’imbarazzante “dossier Iraq”, che spiegò agli Inglesi perché “Baghdad delenda est”, nel 2004 è stato assunto alla BP, dove pare si sia fatto molto onore siglando contratti milionari con l’allora “quasi nemico” libico.

Tra una sessione di tortura e l’altra, pare che Belhadj non si annoiasse: era infatti continuamente interrogato, oltre che dagli uomini di Moussa Koussa, non solo da un team di inglesi (capitanati da una signora), ma anche da rappresentanti di altri Paesi (compresa l’Italia). Passò i cinque anni successivi in carcere.

E c’è un altro documento, reso pubblico ieri, altrettanto imbarazzante per l’intelligence britannica: un fax spedito dalla CIA a Tripoli il 23/03/2003, nel quale l’agenzia americana si mette a disposizione per fornire il passaggio aereo da Hong Kong, dove si rifugiava Abu Munthir, vice di Belhadj, a Tripoli. Un documento grottesco dal quale traspare la curiosa combinazione d’ingenuità, spregiudicatezza e ipocrisia che caratterizzano la politica estera degli Stati Uniti.

“Siamo al corrente che avete collaborato con i servizi britannici per la deportazione di Abu Munthir e che avevate un aereo disponibile allo scopo alle Maldive.” Il governo di Hong Kong non desidera avere un velivolo libico sul suo territorio - continua il documento - ma è disponibile ad dare l’OK al trasferimento se effettuato attraverso un aereo di nazionalità terza. Se il costo del trasferimento è un problema, la CIA è pronta a dare una mano”. Nella comunicazione si afferma, per ben due volte, che la collaborazione americana è condizionata alla formale rassicurazione che il Abu Munthir e la sua famiglia saranno trattati con umanità dai libici (!).

Dopo l’esplosione di quest’ultimo scandalo, che certifica un coinvolgimento diretto di MI5 ed MI6 nei casi di extraordinary rendition, sarà ancora più difficile per gli inglesi sostenere che l’unica responsabilità del governo è stata quella di essere troppo lento a comprendere il fenomeno, il tipo di giustificazione patetica che pure è stata accettata in passato dall’Intelligence and Security Committee, il comitato nominato dal Primo Ministro con il compito di supervisionare il lavoro dei servizi segreti.

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