Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Michele Paris

I tre recenti falliti attentati contro obiettivi israeliani in India, Georgia e Thailandia, sono stati puntualmente attribuiti all’Iran da parte di Washington e Tel Aviv, da dove è stata subito lanciata una nuova serie di minacce nei confronti della Repubblica Islamica. Il primo e relativamente più significativo attacco è avvenuto lunedì scorso a Nuova Delhi, dove un motociclista ha fissato un ordigno esplosivo ad un’auto su cui viaggiavano un diplomatico israeliano e sua moglie. Quest’ultima e l’autista sono rimasti lievemente feriti.

Lo stesso giorno a Tbilisi, capitale della Georgia, un esplosivo simile è stato trovato attaccato ad un veicolo dell’ambasciata israeliana. La bomba è stata individuata prima che esplodesse e non ha provocato alcun danno. Martedì, infine, alcune esplosioni accidentali in un appartamento di Bangkok hanno portato all’arresto di tre persone che sono state identificate come cittadini iraniani. Una di esse, nel tentativo di fuggire, ha lanciato una granata artigianale contro le forze di polizia tailandesi ferendosi gravemente ad una gamba.

Nonostante i falliti attentati non abbiano causato vittime e nessuna autorità di India, Georgia o Thailandia abbia accennato al coinvolgimento del governo di Teheran, Israele ha immediatamente accusato l’Iran di condurre una campagna terroristica. Parlando mercoledì alla Knesset (Parlamento), il premier Netanyahu ha affermato che “le attività terroristiche dell’Iran sono state esposte” e che Teheran “sta minacciando la stabilità del pianeta mettendo in pericolo le vite di diplomatici innocenti”. Per questo, “tutti i paesi devono tracciare una linea rossa e condannare gli atti terroristici iraniani”.

Le gravissime accuse di Netanyahu arrivano a poco più di un mese dalla morte a Teheran di Mustafa Ahmadi Roshan, il quarto scienziato nucleare iraniano assassinato negli ultimi anni con esplosivi magnetici simili a quelli utilizzati qualche giorno fa a Nuova Delhi e a Tbilisi.

Per questi attentati terroristici tutte le tracce indicano la responsabilità del Mossad israeliano, verosimilmente tramite le prestazioni di affiliati a organizzazioni attive in Iran come Mujahideen-e Khalq (MeK) e Jundallah, entrambe bollate come terroristiche persino dagli Stati Uniti e il cui obiettivo è la destabilizzazione e il rovesciamento della Repubblica Islamica.

Il governo di Teheran ha seccamente smentito ogni responsabilità nei tre episodi. In un comunicato ufficiale, il Ministero degli Esteri ha sottolineato che le accuse israeliane fanno parte della stessa strategia diffamatoria che lo scorso ottobre aveva spinto l’amministrazione Obama a rivelare un presunto quanto improbabile complotto iraniano per assassinare l’ambasciatore saudita a Washington con la collaborazione di un cartello messicano del narcotraffico. Per l’Iran, sarebbero piuttosto “gli agenti del regime sionista [Israele] i responsabili di simili azioni terroristiche”.

Giornali e analisti occidentali hanno ipotizzato anche un coinvolgimento di Hezbollah, dal momento che lunedì scorso ricorreva il quarto anniversario dell’assassinio di un importante membro dell’organizzazione sciita libanese, Imad Mughniyah, avvenuto a Damasco sempre per mano del Mossad. Il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha anch’esso respinto quelle che ha definito “assurde congetture”, affermando che, se la sua organizzazione volesse vendicarsi della morte di Mughniyah, verrebbero presi di mira obiettivi israeliani ben più importanti.

Tutti e tre i falliti attentati, inoltre, come già la trama per eliminare l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, hanno evidenziato la scarsa professionalità dei loro autori, rendendo dunque improbabile un qualche ruolo dei servizi segreti iraniani o di Hezbollah. I tre individui arrestati dalla polizia tailandese pare anche che abbiano fatto di tutto per rivelare la loro provenienza, ad esempio prendendo in affitto un appartamento a Bangkok vicino ad un centro culturale iraniano e tenendo con sé i loro passaporti e della valuta iraniana.

Le ragioni per dubitare delle accuse di Netanyahu sono però da ricercare principalmente nei rapporti che legano l’Iran a due paesi asiatici tutt’altro che ostili, come Thailandia e, soprattutto, India. Quest’ultimo paese ha infatti scavalcato da poco la Cina per diventare il primo importatore di petrolio iraniano, mentre a breve una delegazione indiana di alto livello è attesa a Teheran per discutere il rafforzamento dei legami commerciali tra i due paesi.

Oltre al rischio di mettere a repentaglio questi rapporti in un momento in cui l’Iran è soggetto ad una vera e propria guerra economica da parte dell’Occidente, c’è anche da chiedersi per quale motivo il regime di Teheran abbia deciso di mettere in scena degli attentati così grossolani entro i confini di un paese con il cui governo sta trattando un accordo per il pagamento del proprio greggio, così da evitare le sanzioni di Stati Uniti ed Europa.

In India, la quale nonostante le pressioni ha deciso di non rispettare le sanzioni di Washington che prendono di mira il settore petrolifero iraniano, le perplessità circa eventuali responsabilità di Teheran nell’attentato al diplomatico israeliano sono ampiamente diffuse. Due recenti articoli del Times of India risultano particolarmente interessanti. Il primo ha rivelato che, qualche giorno prima dei fatti, il direttore del Mossad, Tamir Pardo, era stato in visita a Nuova Delhi, mettendo in guardia il governo da possibili attentati di matrice iraniana, anche se non specificatamente in territorio indiano, come ha precisato successivamente il giornale israeliano Haaretz.

Il secondo è invece un pezzo dell’editorialista Shobhan Saxena, il quale nel suo blog il 15 febbraio ha messo in relazione l’attentato con il fastidio provocato a Tel Aviv e a Washington dalle relazioni indo-iraniane. Per Saxena, “l’Occidente da anni cerca di guastare i rapporti dell’India con l’Iran, il nostro secondo fornitore di petrolio. È una coincidenza che questo attentato sia avvenuto proprio quando l’Iran ha accettato di ricevere pagamenti in rupie per il greggio fornito all’India? Il pagamento in rupie rappresenta il totale fallimento del tentativo dei paesi occidentali di impedire all’India di continuare a fare affari con l’Iran. Perciò, se l’incidente di Delhi dovesse causare frizioni con Teheran, chi ne beneficerebbe ? L’intera vicenda deve essere vista in questa prospettiva. L’unico paese che ne trarrebbe beneficio è Israele”.

Gli eventi dell’ultima settimana hanno così fatto salire ulteriormente le tensioni tra Stati Uniti e Israele da una parte e Iran dall’altra. Essi però sono giunti in concomitanza anche con un certo abbassamento dei toni attorno alla questione del nucleare di Teheran, da dove l’altro giorno è partita una proposta indirizzata all’Unione Europea per riaprire i negoziati, questa volta, pare, senza condizioni preliminari.

A fronte delle aperture mostrate ancora una volta dall’Iran, appare comunque improbabile che i governi occidentali siano disposti a intavolare un dialogo serio, dal momento che l’annosa disputa sul programma nucleare è poco più che un pretesto per continuare a fare pressioni sulla Repubblica Islamica, con l’obiettivo di scatenare un conflitto armato e provocare la caduta del regime.

Che non sia l’Iran a costituire una minaccia alla stabilità del Medio Oriente, infine, è stato confermato anche da due esponenti del governo americano nel corso di una recente audizione al Congresso USA. Il direttore dei servizi segreti militari, generale Ronald Burgess, di fronte ad una commissione del Senato, ha infatti detto di ritenere improbabile che l’Iran possa iniziare un conflitto se non in risposta ad un attacco esterno. Poco più tardi, il capo dell’intelligence a stelle e strisce, James Clapper, ha a sua volta sostenuto che, pur essendo tecnicamente possibile per l’Iran produrre un ordigno nucleare entro uno o due anni, questa ipotesi sul piano pratico rimane alquanto improbabile.

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