Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Michele Paris

Da alcuni giorni, una serie di violenti scontri sta segnando la vigilia delle elezioni presidenziali in Senegal, previste per domenica 26 febbraio. Le manifestazioni di piazza sono state organizzate dalle opposizioni ufficiali e da alcuni gruppi della società civile per protestare contro la candidatura dell’anziano presidente in carica, Abdoulaye Wade, il quale nonostante i limiti imposti dalla costituzione si appresta a correre per un terzo mandato alla guida del paese africano.

L’85enne presidente senegalese, al potere dal 2000, già lo scorso settembre aveva annunciato l’intenzione di correre per un terzo incarico, anche se nel 2007 aveva promesso pubblicamente che avrebbe dato l’addio alla politica attiva nel 2012.

Il suo ritiro dalle scene avrebbe permesso di evitare una disputa attorno al dettato costituzionale che regola il numero di mandati del presidente. Secondo Wade, infatti, il limite di due mandati previsto dalla costituzione non si applica al suo caso, poiché è stato introdotto dopo l’inizio della sua presidenza, nel 2000.

A stabilire che il limite dei due mandati non è retroattivo è stata infine la Corte Costituzionale del Senegal che lo scorso 27 gennaio ha dato così il via libera alla candidatura di Wade. Lo stesso tribunale, composto in maggioranza da fedelissimi del presidente, a gennaio aveva anche escluso dalle presidenziali il cantante di fama internazionale Youssou N’Dour, sostenendo che decine di migliaia di firme raccolte per la sua candidatura risultavano illeggibili.

La sentenza favorevole a Wade ha suscitato le immediate proteste delle opposizioni ma gli scontri di piazza con la polizia hanno iniziato ad assumere proporzioni preoccupanti solo la scorsa settimana. Il centro della capitale, Dakar, è stato occupato da migliaia di manifestanti, accolti dalle forze di sicurezza che hanno cercato in tutti i modi di impedire lo svolgimento di marce di protesta contro il presidente.

Anche i tre principali sfidanti di Wade - l’ex ministro degli Esteri, Ibrahim Fall, il deputato del Fronte per il Socialismo e la Democrazia, Cheikh Abiboulaye “Bamba” Dièye, e l’ex primo ministro nonché già protetto del presidente, Idrissa Seck - sono stati tra le vittime dei maltrattamenti riservati dalla polizia ai dimostranti.

Scontri di una certa intensità sono stati segnalati anche in altre località del paese, in particolare nella città di Kaolack, a sud-est di Dakar, dove un giovane manifestante ha perso la vita. Complessivamente, fino ad ora in tutto il Senegal si contano almeno sei morti tra gli oppositori di Wade.

Le tensioni sono poi salite alle stelle venerdì scorso, quando la polizia ha lanciato dei gas lacrimogeni all’interno di una moschea di Dakar nel tentativo di fare uscire un gruppo di manifestanti che vi avevano trovato rifugio. Questa mossa ha provocato una rivolta tra i fedeli che si stavano preparando alla preghiera, i quali hanno a loro volta deciso di scendere nelle strade in segno di protesta.

Alcuni leader dell’opposizione lunedì hanno chiesto alla comunità internazionale di intervenire per fare pressioni su Wade e fermare la repressione. Per il presidente, al contrario, i suoi avversari politici avrebbero reclutato mercenari per destabilizzare il paese. L’Unione Africana, attualmente presieduta dal presidente del Benin, Yayi Boni, ha fatto appello a entrambe le parti a porre fine alle violenze.

La stessa Unione Africana, in concerto con la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), ha inoltre inviato in Senegal una delegazione guidata dall’ex presidente nigeriano, Olusegun Obasanjo, per tentare una mediazione. Le opposizioni - formate dai partiti ufficiali e dalle organizzazioni Movimento 23 Giugno (M23) e Y’en a marre (“Ne abbiamo abbastanza”), un movimento di protesta fondato da alcuni rapper senegalesi - non sembrano però intenzionate a fare passi indietro, tanto che hanno già annunciato nuove manifestazioni prima del voto di domenica prossima.

A lungo all’opposizione, Abdoulaye Wade era stato eletto per la prima volta alla presidenza del Senegal nel 2000 dopo quattro sconfitte a partire dal 1978. Una volta al potere, Wade ha presieduto a svariate modifiche costituzionali, spesso caotiche. Nel febbraio del 2007 ha conquistato un secondo mandato in un voto, secondo le opposizioni, macchiato da diffuse irregolarità.

Per protesta, gli stessi partiti dell’opposizione decisero di boicottare le elezioni parlamentari del giugno successivo, permettendo così a Wade e al suo Partito Democratico del Senegal (PDS) di ottenere il controllo pressoché assoluto della legislatura e di nominare a piacimento i giudici della Corte Costituzionale.

Nel giugno del 2011, Wade ha tentato un nuovo colpo di mano, cercando di abolire il secondo turno delle elezioni presidenziali nel caso un candidato avesse raggiunto il 25% dei consensi, invece del 50%. La mossa, fallita a causa delle proteste di piazza che seguirono, era dettata da un evidente calo dei consensi nei confronti del presidente che vedeva il rischio concreto di essere battuto da un eventuale candidato unitario dell’opposizione.

Wade, in ogni caso, è rimasto fermo nel suo intento di cercare un terzo mandato anche di fronte alle pressioni esercitate dai due principali sponsor del Senegal, gli Stati Uniti e la Francia, i cui governi hanno chiesto apertamente al presidente di farsi da parte nel timore di un diffondersi incontrollato delle proteste di piazza.

Come già avvenuto in occasione della primavera araba in Tunisia, Egitto e Yemen, gli USA e l’Occidente hanno cercato di scaricare un leader dalle tendenze autoritarie che ha però servito diligentemente i loro interessi per anni. Seguendo un percorso già battuto da autocrati come Ben Ali, Mubarak o Saleh, nell’ultimo decennio anche Wade in Senegal ha portato avanti parallelamente il consolidamento del suo potere e l’apertura del paese al capitale straniero.

Proprio le conseguenze delle “riforme” in senso liberista perseguite da Wade sono la causa principale dell’esplosione delle proteste popolari esplose in Senegal.

Tuttavia, come ha evidenziato il ricercatore canadese esperto in questioni africane, Toby Leon Moorsom, in un articolo apparso lunedì sul sito web di Al Jazeera, i partiti dell’opposizione e le organizzazioni della società civile che hanno promosso le proteste di questi giorni non sembrano intenzionati a introdurre le questioni economiche nel dibattito politico senegalese.

Un simile atteggiamento mostra perciò tutti i limiti di questi movimenti, sia per quanto riguarda la loro capacità di rimuovere Wade dal potere sia per offrire una reale prospettiva di cambiamento alla maggioranza della popolazione senegalese.

Per Moorsom, se pure le manifestazioni hanno sorprendentemente raccolto un seguito significativo in molte città, l’opposizione nel suo complesso risulta lontana dai bisogni e dalle aspirazioni delle classi più disagiate del paese.

Pur essendo l’unico paese dell’Africa occidentale a non aver conosciuto un colpo di stato militare dopo l’indipendenza, ottenuta dalla Francia nel 1960, il Senegal si distingue come i suoi vicini per le precarie condizioni in cui è costretta a vivere buona parte dei suoi abitanti. Il livello di disoccupazione sfiora il 50%, mentre a fronte di una ristretta élite che ha beneficiato delle “riforme” economiche implementate in questi anni, rimangono enormi sacche di povertà, del tutto escluse da qualsiasi prospettiva di miglioramento.

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