Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Zamora

di Sara Michelucci

Una commedia sagace che vede Neri Marcorè di nuovo alla regia con Zamora. Il trentenne Walter Vismara ama condurre una vita ordinata e senza sorprese: ragioniere nell'animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano. Da un giorno all'altro la fabbrica chiude e il Vismara si ritrova suo malgrado catapultato in un'azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto. Andrebbe tutto bene se non fosse che costui ha il pallino del folber (il football, secondo un neologismo di Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati. Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si...
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di Michele Paris

Le immagini dei militari americani in posa con i corpi smembrati di militanti islamici afgani, pubblicate mercoledì dal Los Angeles Times, hanno messo in luce per l’ennesima volta negli ultimi mesi l’estremo disprezzo mostrato dagli Stati Uniti verso una popolazione costretta a subirne l’occupazione da oltre un decennio. Il quotidiano della California ha diffuso solo due delle 18 foto fornite da un anonimo soldato della 82esima Divisione Aerotrasportata di stanza a Fort Bragg, in North Carolina, della quale fanno parte gli stessi militari che appaiono nelle agghiaccianti immagini.

Le fotografie sono state scattate in due occasioni, nel febbraio e nell’aprile 2010, da oltre una decina di militari americani, affiancati da alcuni membri dell’esercito afgano, inviati nella provincia meridionale di Zabul per identificare tramite impronte digitali e scansione della retina i resti di estremisti islamici che si erano fatti esplodere nel corso di attentati suicidi.

La rivelazione del Los Angeles Times arriva solo a poche settimane di distanza da altri gravissimi episodi che avevano fatto esplodere la rabbia della popolazione locale nei confronti degli occupanti americani e che avevano palesato ancora una volta la falsità della pretesa di Washington di condurre in questo paese una “guerra giusta” per la liberazione degli afgani.

Nel solo 2012, infatti, gli Stati Uniti hanno dovuto far fronte alle reazioni scatenate dalla diffusione di un video in rete nel quale un gruppo di Marines urinava sui corpi di afgani uccisi, dal rogo di copie del Corano presso una base militare e, da ultimo, dal massacro di 16 civili compiuta da un soldato americano in un villaggio nella provincia di Kandahar.

Come per i precedenti episodi, anche quest’ultimo portato alla luce dal Los Angeles Times è stato immediatamente seguito dalla condanna dei vertici politici e militari statunitensi, i quali nuovamente hanno descritto i fatti come l’azione di persone disturbate o sotto stress a causa della lunga permanenza in un teatro di guerra. Dal momento che simili rivelazioni sono rese possibili solo grazie alle rare informazioni passate ai media o pubblicate sul web da singoli soldati, è altamente probabile che comportamenti del genere siano piuttosto la regola in Afghanistan e altrove.

Seguendo il consueto copione, inoltre, il Pentagono e la Casa Bianca hanno promesso l’ennesima indagine per portare i responsabili davanti alla giustizia, anche se, come per i fatti precedenti, c’è da credere che seri provvedimenti punitivi non saranno presi nemmeno in questa occasione.

Ancora più preoccupante è stato poi il tentativo fatto dal Pentagono di bloccare la pubblicazione delle stesse immagini. Il Los Angeles Times in un editoriale ha rivelato che, dopo aver ricevuto le foto qualche settimana fa, ne aveva mostrate alcune al Dipartimento della Difesa. In seguito alla consultazione, il Pentagono ha chiesto al giornale di non diffonderle ma il quotidiano, “dopo un intenso dibattito” interno, ha optato per la pubblicazione di solo due immagini, corredate da un articolo del corrispondente da Kabul, David Zucchino.

L’invito al Los Angeles Times a tenere nascosto il materiale è stato confermato da Bruxelles dallo stesso Segretario alla Difesa, Leon Panetta, durante una conferenza della NATO. Secondo quanto riportato dalla CNN, Panetta avrebbe fatto pressioni direttamente sui responsabili del giornale, “perché il nemico utilizza questo genere di immagini per incitare alla violenza”.

In sostanza, per gli USA, gli afgani non dovrebbero sapere quello che fanno gli occupanti americani nel loro paese, altrimenti esploderebbe una più che giustificata reazione popolare per chiederne l’allontanamento immediato. Il tentativo di occultare le fotografie è volto anche ad evitare di far conoscere la realtà della guerra in Afghanistan ai cittadini americani, sempre più stanchi di un conflitto senza alcuna soluzione in vista.

Alle parole di Panetta vanno aggiunte quelle del portavoce dell’esercito USA, colonnello Thomas Collins, il quale è sembrato attribuire la colpa di quanto accaduto alla tecnologia e ai social media. Per Collins, cioè, queste rivelazioni dipendono dal fatto che non si può controllare l’uso dei cellulari e l’accesso alla rete dei soldati, come se il problema non fosse tanto l’episodio in sé quanto il fatto che esso venga reso pubblico.

Di fronte alla stampa, Panetta ha anche ribadito che i fatti portati alla luce dal Los Angeles Times “non testimoniano ciò che rappresenta la grande maggioranza dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme”. In realtà, pur essendo opera di singoli, fatti simili rappresentano esattamente la natura stessa dell’imperialismo americano e il suo infliggere sofferenza ed umiliazione ai popoli dei paesi occupati per la difesa dei propri interessi strategici.

Di fronte all’indignazione crescente nel paese verso l’occupazione, giovedì il presidente Hamid Karzai ha chiesto alla NATO di accelerare il processo di ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan, per evitare il ripetersi di “esperienze dolorose” come quella di vedere soldati americani in posa con corpi mutilati di cittadini afgani.

Quest’ultimo episodio getta una nuova ombra sulle trattative in corso per chiudere l’occupazione stessa e assicurare agli Stati Uniti una sostanziosa presenza militare in Afghanistan dopo il 2014, così da presidiare un paese situato in una posizione fondamentale per l’accesso alle ingenti risorse energetiche dell’Asia centrale.

Il governo di Kabul, peraltro, non è disturbato più di tanto dal comportamento degli occupanti, da cui dipende interamente per la propria sopravvivenza fisica e politica, quanto per la possibile esplosione della rabbia popolare che finisce per alimentare una resistenza sempre più agguerrita.

L’odio diffuso anche in seguito a fatti come quelli documentati dal Los Angeles Times, infine, rischia di rendere ancora più precari gli equilibri militari per le forze NATO in concomitanza con l’apertura della consueta offensiva di primavera dei Talebani, inaugurata proprio qualche giorno fa con un assalto spettacolare ad alcuni edifici governativi di Kabul, e in altre località del paese, annientato a fatica solo dopo parecchie ore di assedio.

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